Volgarizzamento del De doctrina loquendi et tacendiAndrea da Grosseto

Edited by Matteo Luti.
author of the original latin text: Albertano da Bresca.

Born digital first scholarly digital edition. Final project of the DEMM Training Programme, 2016/17

Sources

  • Manuscript N :
    Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Conventi soppressi F IV 776.

  • Manuscript L :
    Firenze, Biblioteca Laurenziana, Gaddi reliqui 143.

  • Manuscript G :
    Ginevra, Bibliothèque de Genève, Comites latentes 112.

Conventi Soppressi F IV 776

-> [ f. 3r ] Come homo debbia domare la lingua sua.
-> A lo ncomiçamento et al meço et alla fine del mio trattato sia presente la gracçia del sainto spirito.
-> Inperciò che molti errano nel parlare et non è nessuno che compiutamente possa domare la lingua sua, secondo che dice beato Iacopo, el qual disse: "la natura dele bestie et di' serpenti et dell'ucelli et di tutte l'altre cose è domata de la natura dell'uomo, ma non è alcuno che possa domare la lingua sua, io Albertano ò volontà di mostrarti una picciola dottrina et utile sopra 'l dire et sopra 'l tacere, ad te figluolo mio Stefano, lo qual si contiene in un verso. Et è questo lo verso: "Chi tu sè, e che cosa, et a cui tu vuo' dire, perché, et come, et quando tu richiedi".
-> Ma, imperciò che le parole che contengono in questo verso son gravi et generali, et la generalità rende oscurità, le dette parole, secondo `l senno e `l savere mio, ò proponimento di mostrare, avegna che non compiutamente. Tu addunque, figliuolo carissimo, quando tu ài volontà di parlare, da te medesimo déi inchominciare, i a simiglança del gallo, lo qual si percuote tre volte innançi ch’ei canti. Addunque, nel cominçamento del detto tuo, innançi che tu parli, richiede te medesmo et tutte le parole che son poste in questo verso, cioè richiede te medesmo et da te medesmo. Et nonn una fiata ma molte déi adomandare te medesmo, perciò che questa parola te importa ricominciamento, et è a ddire richiede cioè ricominça a domandare, secondo che contasse danari, cioè un’altra fiata conta.
-> Come non t'intrametti di quello che non ti pertiene
-> Richiede addunque nell’animo tuo quale persona tu se’ et che cosa tu vuo’ dire et se quel che tu vuo’ dire pertiene di dire ad te o ad un altro più ch’a te; et se pertiene ad un altro più ch’a te, non te ne 'nframettere, perciò che la Legge dice: "Secondo ch’è da 'ncolpare cului che s’inframette de la cosa che non li pertiene, così è da 'ncolpare cului che dice le parole che non si pertengono a llui di dire. Unde disse Salamone nei Proverbi che quel cotale è simigliante ad cului che ode due cani arringhiare: non si i può tenere che non s’inframetta de la misschia (sic). Et Giovanni Sirac disse: "Di quella cosa che non ti molesta non te combaterre (sic)".
-> Anche déi te medesmo, inançi ch i e tue parli, richiedire se tu se’ in buon a e queto senno, o se tu sè tur bato per ira o per alcun’altra turbacione d’animo. Et se l’animo tueo è turbato per neuna cosa, déiti guardare di non p arlare e di costring ere l’animo tuo perturbato, finatanto che l’ira basta. Onde disse Tulio: "Virtuosa cosa è di costrin gere gli animi turbati e di far lli obbedienti a le ragi one". I mperciò, quando tu se’ irato déi tacere, perciò che Seneca disse che cului ch’è irato non può dire se non peccato. Onde disse Cato: "Quando tu se’ irato non déi combattere de la cosa che tu non sai, per certo che l’ira turba sì l’animo, che non può descernere la verità". E Ovidio disse: "O tu che vinci tutte le cosa, vince l’animo et l’ira tua". Unde disse Petro Alifonso che la natura de l’uomo à questo in sé, che, quando l’animo è turbato per alcuna chosa, non può discernere la verità né falsità. Et si tu vuoli sapere pienamente dell’ira e de l’irato, leggi un libro che io feci Dell’amore et de la dilectione di ddio et dell’altre cosa et De la forma de la vita, nel capitolo Da schifar l’amistà dell’uomo irato.
-> Et anche ri (sic) de’ guardare ne la voluntà di parlare tanto ti muova e affrecti di parlare che l’appetito tuo non consenta a la ragione; perciò che disse Salamone che l’uomo che non può costringere lo spirito suo nel parlare è secondo la cità ch’è aperta et non n'à mura d’intorno. An che è usato di dire che chului che non sa parlare addunque non sa parlare per [ f. 3v ] ciò che non può tacere. Onde un savio huomo, quando fue demandato perch’elli tacea cotanto, era perciò che elli era stolto, et quelli rispuose et disse: "Lo stolto non può tacere". Et Salamon dice: "Tieni a vile et reputa niente l’auro e l’argiento tuo, et a le parole tue pone statera et misura, et inpone a la bocca tua diricti freni, et guarda che tu non traisscorri ne la lingua tua, et sia lo cadimento tuo insanabile a morte". Et dice Salamone: "Cului che guarda la bocca sua guarda l’anima sua; ma quelli che parla isfacciatamente se ntir à male". Et Cato disse: "Gran virtù credo che sia sapere costringere la lingua et proximo et (sic) a dDio cului che sa tacere ad ragione".
-> Anche déi richiedere te medesmo et da te medesmo, pensare nell’animo tuo chi tu se’ che vuoli parlare ad un altro. Et non riprendere un altro se tu puoi esser ripreso del simigliante detto overo fatto; perciò che beato Paulo disse ne la Pistola la qual mandò ai Romani: "O h uomo che giudichi, non ti poi escusare, inperciò che in quella medesima cosa che tu giudichi un altro condanni te medesimo, inperciò che tu fai quell a medesme cosa che tu giudichi". Et anche dice in quella medesima Pistola: "O tu che ove am a sti un altro et non amasti te medesmo, tu predichi che neun furi et tu vuoli furare, et dice che neuno sia luxurioso et ài in abbominacçone li santi e fai sacrilegio, cioè dirubi l’eclesie e non honori Dio". Et Cato dice: "Non far quelle cose che tu se’ usato di biasmare, ché soçça cosa è de cului che insegna ad un altro, se può essere ripreso di quella medesima cosa". Et santo Augustino disse: "Ben dire et mal fare nonn-è altro che dannare sé medesmo co’ la sua vo ce". Et in un altro luogo disse Cato: "Non biasmare né detto, né fatto d’un altro, né un altro biasmia te per simigliante exemplo".
-> Anche déi guardare infra te medesmo che vuo' parlare, se tu se’ savio o no et se tu sai ben quel che tu vuoi dire, ché altremente non potresti ben dire. Unde fu uno che demandò un savio huomo com’elli podesse parlare saviamente et quelli rispose et disse: "Se tu dirai solamente quel che tu sai bene". Et Giovanni Sirac disse: "Se tu se’ savio, ad l’amico tuo rispondi; et poni la man tua sopra la bocca tua, acciò che tu non sia ripreso d'un altro parlare et abbine danno".
-> Anche déi richiedere che si può seguitare del tu o parlare, perciò che sono alcun e cose che dal cominciamento paiono bene et ne la fine ànno mal effetto. Onde disse Giovan Sirac: "In tutti beni troverai dui mali, et inperciò non solamente déi guardare al principio, ma ecçiam a le fine, et pensare che si seguita del detto tu o ". Unde disse Panfilo: "Savio huomo lo principio et la fine, et ne la fine si è reiparare (sic) ogna cosa ben fatta et mal fatta". Et aguarda lo principio et la fine de la parola, acciò che tu possi meglio dire chel che tu vuoli. Et se tu vedrai, et dubiteraine che male effetto si debia seguitare del tuo parlare, déi più tost (sic) tacere che parlare. Unde disse Petro Alfonso: "Se tu ài paura di dir cosa unde tu debbia aver pentimento, meglio è che tu non la dichi", perciò ch’al savio huomo si pertiene più di tacere per sé che di parlare contra sé. Onde molte persone ò vedute aver danno di parlare, ma di tacere non ne vidi anche neuno che n’avesse danno; perciò che le parole sono simigliante ad le saette, le qual agevolemente entrano et malagevolemente si traggono. Unde dice Boeçio: "La parola ch’è detta non può mai non essere detta", et perciò ne dubbio (sic) meglio è tacere che parlare, secondo che ne’ fatti dubbiosi meglo è non fare che fare, secondo che disse Tulio, lo qual disse: "Ben comandano color che vietano di far quelle cose de le quale è dubio se elle sono giuste et buone o meno che buone, perciò che la giusticçia per sé è manifestamente buona, ma la cosa dubbiosa à in sé ingiuria et danno". Onde disse un savio huomo: "Se tu dubiti neuna [ f. 4r ] cosa non la fare".
-> Et déiti guardare di non fare alcuna la cosa la quale non ti dicie il cuore di fare; déi fare t tutte le cose che ti dice `l cuore di fare, perciò che Seneca disse: "Alcuna fiata è matteçça consiglia l’uomo ne le cose dubbiose".
-> Et certo molt e cose ti potrei dire e insegniare ad exponere quella parola chi tu se’; ma questi c cinque exempli che io t’ò detti ti bastino, perciò che io non voglo fare lungo trattato.
-> Come tu dei guardare la cosa che vo' dire s'è vero o falso
-> Dapoi ch’è veduto come si dé si dé intendere questa parola chi tu se’, vo’ ti mostrare che tu déi intendere per quest’altra: che cosa.
-> E certo tu déi guardare se la cosa che tu voli dire è verità o falsità non la de’ dire (sic), ançi ciò che tu dirai sia pura verità. Onde disse Giovan Sirac: "Inançi ad tutte l’opere tue sì u sa parole di verità et innançi che tu facci la cosa déi esser fermamente consigliato", perciò che la verità è da honorare sopra tutte l’altre cose, inperciò ch’ella sola fa esser gl’omini presso a dDio, secondo che e’ medesmo disse: "Io sono via e verità".
-> Addunque, se tu voli parlare, déi al pustuto dire verità, levando da te ognie bugia. Onde disse Salamone nell’Eclesiastico: "Più è da amare un ladrone che un che dicha sempre bugie et falsità". Et un altro savio disse: "Adconsente a la verità, o dichila tu a d un altro o un altro la dica ad te". Et Cassiodero disse: "Pessima usança è a bbiasmare la verità"; intendo la verità ch’è pura, ne la quale non è meschiata alcuna falsità. Et ciò è che disse Cassiodero: "Buona cosa è verità se con essa non è meschiata alcuna falsità"; et intendo de l a verità semplice, cioè leiale. Onde disse Seneca: "Le parole di cului che vuole adoperare verità debono essere semplice et non composte", cioè mariscaltrite.
-> Debbi addunque in tal modo parlare verità, che ciò che tu die possi lealmente giurare e non abbia alcun disguaglio a la tua simplice parola nel seramento. Onde disse Senica: "Cuolui che dice tai parole, che non le può giurare, tiene a vile et per nulla il seramento". E anche disse nel libro De la forma dell’onesta vita: "Non sia punto di força (sic) fra te de dire et affermare le parole et déi giuralle, perciò che là dunque si tratta et si dicie o fassi mentioni de la verità, ivi si tratta de la fede, et si dice sant e e cortese cose. Et advegna che non si chiami, né non si faccia invocacçione et preghieri a dDio con seramento et con testimonio, almeno non déi passare la verità, acciò che non passi la legie de la giusticia.
-> Et se alcuna fiata tu se’ constretto di dire e d’usare alcuna bugia, tu la déi dire a dd i fendimento de la verità et non de la falsità. Et si t’averà c he tu possi recomperare o guardare una fedeltà et una giusta cosa per una bugia, non serai perciò tenuto bugiardo, ançi ne serai lodato, perciò che `l giusto homo non può mentire, né ingannare quando egli à giusta cagione, onde quelle cose che de’ dire dicele, et quelle che non de’ dire non dice".
-> Déi addunque verità pura et semplice de dire, et pregha Dio che faccia da lunga la parola falsa et di bugia. Onde Salamone pregò Dio et disse: "Signore Dio, due cose ti prego che tu mi facci, innançi ch' e i o muoia, cioè vanità et parola di falsità fa' di lungi da me". Et secondo che tu non déi dire contra la verità, così né fare. Onde disse san Paulo, ne la secondo (sic) Pistola che mandò ai Corinthi: "Noi non potemo alcuna cosa contra la verità, ma co’ la verità".
-> Anche déi dire tal verità che sia creduta, ch’altremente serebbe tenuta falsità, perciò che la verità che nonn-è creduta et (sic) reputata et tenuta secondo che bugia et falsità e la bugia che è creduta pare secondo que verità; et perciò ti dissi di sopra che tu déi dire verità, schifando ogni bugia malscaltrita, cioè ingannevile. Onde non dé essere tenuto falso o fallacie que’ que dice la falsità et crede che sia verità; e adviene altresì lo contrario, che cului che dice la verità e crede ri dire falsità non dé essere [ f. 4v ] tenuto buono, ançi falso et ingannatore. Et nonn'è libero da falsità cuolui che conosce la falsità e diciela volountieri, secondo che dice beato Augustino.
-> Anche déi guardare se la cosa che tu vuo’ dire è aspra o soave o dolce, perciò che le dolce parole son da dire et l’asprae sono a ppustuto da tacere. Onde disse Giovan Sirac: "Viole et cennamelle fanno dolce sono et delettevole canto, ma sopra tutte è la lingua che dicie soave parole". Et anche disse: "La parola dulce multiplica gli amici et adhumilia gli nimici ". Et anche si suol dire che la selva tien e la lepre, ma la lingua del savio huomo tiene sapiencçia et dolceca (sic). Et Panfilo disse: "Dolce parole acquista et conserva amore".
-> Anche déi guardare se quel che tu vuo’ dire è duro o molle, cioè orgoglio (sic) o umile, perciò che le parole molli sono sempre da dire, et non le dure. Onde disse Salamone: "La molle risponsione rompe et speçça l’ira, ma la parola dura suscita furore, cioè comune nequità".
-> Anche déi guardare se quel che tu vuo’ dire è bello o soçço, perciò che le belle et le buone parole son da dire, lasciando al pustutto le soççe et le rie cose. u Onde disse san Paulo ne la Pistola prima ad quelli di Chorinthia: "Non in lasci vi lasciate ingannare, ché le male parole corrompono li buoni costumi". Et in un altro luogo disse a que’ di Effesia: "Neuna parola soçça v’esca de la bocca vostra". Et anche in quel medesmo luogo disse: "Soççe parole, né oscure, né stolte non siano in voi, secondo che si conviene ai santi". E Seneca disse De la forma de l’onesta vita: "Guardat e vi de le soççe parole, ché la loro usança notrica stolteça". Et Salamone disse: "Huomo ch’è usato di dire parolae ingiuriose e d’oltraggio, non si gastigarà in tutti li die de la vita sua". Addunque la parola tua non sia soçça, ma sia condita di sale di gratia; perciò che dice san Paulo ne la Pistola ad Colocenses: "La parola vostra sempre sia condita di sale di gratia, adcciò che non (sic) sacciate come si conviene rispondere ad ad ciascuna persona". Anche déi guardare che tu non dichi parole oscure, né dubbiose, ma de’ dire cosa chiar e et d'aperta (sic). Unde dice la Legie che nonn-è disguaglio tra cuo u lui che niega et cuolui che tacie et cuolui che risponde oscuro quanto a quest o , ch’è lasciare cuolui in dubio che domanda. Onde si tro truova scripto che meglio è esser muto, che dire quel che neuno huomo non dé intendere. Anche déi guardare non tu dichi alcuna chosa soffistica, cioè vanagloriosa et ingannevole, perciò che disse Giovan Sirac: "Cuolui che parla soffisticamente, cioè ingegnosamente, è odiato da ogn’omo et non à alcuna gracçia da Dio, perciò che ogne chosa vuole frodare et torre ad altrui".
-> Anche déi guardare che tu non dichi, né facci alcuna cosa ingiuriosa et che torni a ddissinore d’alcuno, perciò che si truova scripto che chi fa ingiuria ad un o minaccia molte gente. Onde Giovan Sirac disse: "Non ricordare la `ngiuria al prossimo et non fare alcuna cosa che sia d’ingiuria". Et se creta disse in una Pistola: "Aspetta da un altro quel che tu fai ad un altro". Et questa iiuria (sic) et malvagità et massimamente di quella che si fa sotto specçia di far bene, et fa male. Onde dice Tullio che nonn-è maiore ingiuria que quella che l’uomo fa acciò che e’ paia buono huomo et vuole ingannare altrui. Unde le `ngiurie ete disnori sono cagioni di gran male, et non solamente fanno danpno ad questo et ad quello, ma ecçiamdio in regno et una provincia ne sostiene dice distructione e mutamento tal fiata. Et ciò è che dice Giovan Sirac: "Una provincia si transmuta da gente in gente per le ingiurie et per le malavagità". Non solamente déi guardare di dire et di fare ingiuria ad un altro che vuole fare alcuna ingiuria, se tu puoi agevolemente. Onde dice Tullio nel libro de gli Officçi: "Due modi son di fare ingiuria: l’un o è quando altre disse (sic) fa ingiuria a l’altro è quando altri può sì fare, che un altro non faccia ingiuria all’altro et non lo fa". E pongoti tale exemplo: se Petro può sì fare che Martino non faccia ingiuria ad Giovanni et nol fa, Petro fa ingiuria ad Giovanni, [ f. 5r ] secondo che Martino. Et è altresì gran vicçio se tu non contrasti a la in ingiuria che può essere facta al vicçio tuo, se tu puoi, come tu abbandonassi tuo padre et tua madre et la terra tua et tutti gli amici tui. Et dico: "Se tu puoi agevolemente"; perciò che quell a cos e a può l’uomo fare, che puoi agevolmente, secondo che la nostra leggie dice. Et se un altro ti dice ingiuria, déi star queto, perchiò che santo Augustino disse nel libro Del Sommo bene, che più gloriosa cosa è ad passare una ingiuria et sofferire tacendo, che, rispondendo, vincere cului che ti dice ingiuria.
-> Anche déi guardare che tu non dichi chosa di tradimento, perciò che nonn-è neuna chosa sì mortale ne la cità come `l tradimento.
-> Anche déi guardare che tu non dichi cosa schernevole, né all’amico, né al nemico tuo, né ad u n al tra persona. Unde si tru a o va scripto che l’uomo non dé schernire l’amico suo per giuoco, perciò che, quanto egli serà migliore amico, tanto più lao terrà per male se tu farai beffe di lui tosto verrà a parolae con teco, perciò che nonn-è alcuna persona, se altri fa beffe et schernesce di ilui, che egli non ne sia dolente, et che non si meno m i l’amore tra lui et cului che fa beffe di lui. Et secondo che dice la Regola dell’ameorae, l’amore che si menoma, tosto viene meno et rade volte cresce. Et certo tanto potresti fare ingiuria altrui, che tu udiresti et riceveresti cosa che non ti piacerebbe. Onde disse Salamone che chi rinunça gl’altrui vicçij, tosto u dirà rinuncçiare di sui peccati. Et Marcçial disse: "Quelli che schernisce altrui non andrà che egli non sia schirnito". Et anche disse che di biasmare altrui et quelli che fa privatamente beffe die l’altro; et soçça cosa è ad cului che seguita quelle beffe.
-> Anche de’ guardare la t ua d otrina cosa, che tu dichi alcuna cosa malvagia. Unde disse il profeta, cioè David, nel Salterio: "Domenedio dispergia tutte le bucche che parlano malvagiamente et la lingua che parla gran cose". La tercçiadecima che tu déi guardare si è che tu non dichi alcuna chosa con superbia, perciò che Salomon disse che cholà ove userà superbia, i userà ingiuria et quivi ove serà humilità, ivi serà sapiencçia con gloria. Et Iob disse: "Se la superbia andasse infino al cielo et toccasse l li nuvoli col capo, ne la fine serà sperta et avilita come fe cc ia". E Giovan Sirac disse: "L’uomo soperbio è odiato da Dio et da ttutti gl’uomini del mondo; et è da vituperare ogna nequità". Et anche disse: "Le tençioni et le `ngiurie destrugono la sustança dell’uomo, et la casa ch’è riccha diventerà povera per la superbia".
-> Anche déi guardare che tu non dichi alcuna cosa ocçiosa, perciò che si truova scriptao che d’ogne parola ocçiosa dovremo rendere ragione. Sia addunque la parola tua et tutto lo parlare tuo vero et efficace, et non vano, sia ragionevole, dolce et soave, sia molle et non duro, sia bello et non soçço o rio, sia non noscuro (sic), né dubbioso, sia non soffistico, né ingiurios o , et non sia sedicçioso, si a di tradimento pieno; sia non scernevole (sic), sia non ingannevole, né soperbia oçiosa , cioè sença. Et queste cose ti dò per regola et per amaestramento generale, perciò che tutte le cose che guastano la pietà nostra et la stimacçion n nostra, la vergogna nostra, et brevemente tutte le cose che son contra buon custumi, né pur da credere che noi le possiam fare, secondo che la legiee nostra dice. Et secondo che noi non le dovem fare, così non le dovemo dire, perciò che Socrate disse: "Quelle cose che son so ççe a fare non credo che siano honeste a dire". Addunque déi fare sempre cose honeste, non solamente infra coloro che tu non cogniosci, ma ecçiamnondio fra li ni mici tui, perciò che cului che us a honeste parole fra gli altri nonn-è convenevole cos a che elli usi inhoneste parole fra i suoi, con ciò sia cosa che in ciascuna parte de la vita nostra sia molto necessaria l’onestà.
-> Et certo infiniti exempli ti potrei dare ad exponere questa parola che chosa, ma queste cosa che io t’ò dette ti bastino a questa fiata.
-> Come tu déi considerare ad cui tu parli et che
-> Poscia che t’ho mostrato che si dé intendere per queste due parole chi tu se’ [ f. 5v ] e che cosa, vogloti 'nsegniare che tu déi intendere per questa parol a ad cui.
-> Et certo quando tu vuoli parlare, tu déi considerare ad cui tu parli, perciò che cho’ l’amico tuo de’ parlare bene et soavemente; onde non è neuna cosa più da amare, che avere uno amico col qual tu possi parlare secondo che con te medesmo. Et tutta fiata sì ti déi guardare che c on cuolui ch’è ben tuo amico non dichi alcuna cosa de la quale tu abbi paura et sia dolente si elli la dicesse ad un altro, quando elli fosse fatto tuo nemico. Unde dice Seneca nel libro de le Pistole: "Tu déi parlare co’ gli amici tui secondo che Dio t'ogiaio t'ò già detto, et sì de’ vivere co’ gli am i ci come se Dio ti vede", cioè pensa nell’animo tuo quando tu parli col tuo amico e uviove, ché Dio ode e vede ciò che tu di ci et fai. Et un altro disse: "Se tu ài l’amico, guard a che non ti chonvegnia aver paura s’egli deventasse tuo ne mico". Et Petro Alifonso disse, per gli amici che non son provati, né veraci: "Guardati una fiata dal nimico tuo et mille fiate dagli amici tui, perciò che quegli ch’è amico alcuna fiata si fa nemico, et così più tosto ti potrebbe far danno".
-> Et dicoti così, che se tu ài alcuna tua cosa secreta, de la quale tu non voli et non possi avere consiglio, che tu la ti debbia tenere et non manifestarla ad alcuno. Onde disse Giovan Sirac: "All’amico, né al nemico non déi manifestare tutte le tue secrete cose et maximamente li peccati et le malvagità tue; perciò che t’udirà et aguardandoti, quasi defendendoti, farà beffe di te". Et un altro disse: "Quello che tu vuoli che sia secreto nol dire ad alcuno". Et un altro disse: "Appena che tu possi trovare uno o homo che possa tenere celato una cosa secreta". Et un altro disse: "El secreto el consiglio e le secrete cose tue tielle rinchiuse, secondo che ne la pregione tua, perciò che quando tu l’avrai manifestate et terrà legato te in de la pregione sua". Et un altro disse: "Quelli c he tiene lo consiglio suo nel cuor suo è segnior di sé et di prendere loia migliore parte" et più sicura cosa è a stare queto, che pregare un altro che stea cheto. Et di ciò disse Seneca buona parola; che disse: "Se tu non starai queto, tu come comandi ad un altro che stea queto?" et se tu averai alcuna tua facienda secreta, de la quale tu voli avere consiglio, dia la manifestare al più fedele e al più provato amico che tu ài". Unde disse Salamone che l’omo dé avere molti amici, ma consiglieri et consigliatori dea avere uno infra mille. Et Cato dice: "El secreto consiglio déi dire al fedele amico, et la 'nfertà del corpo dé' dire al fedel medico", et al nimico tuo non déi molto parlare, né manifestare alcuna tua cosa privada. Et ciò è che dice Isopo: "Non affidare et non manifestare alcuna tua cosa privada cun cui tu ài conbbattuto".
-> Et in un altro luogo disse: "Non aver fede, né sperança nel nemico tuo", et questo déi intendere ecçiamdio poi ch'elli avesse fatto pace con teco. Perciò che si truova scripto che neun può aver perfettamente la gracçia del nemico suo, perciò che li vapori dell’odio sempre rimangono del nemico. Onde dice Seneca: "Colà dove sta longamente il fuocho non può essere mai sança fu mo". Et anchor disse: "Meglio è che altri muoia per l’amico suo, che viva chol suo nemico ch’è stato anticamente s uo nemicho non credere in perpetua, et s’e lgli ti se aumiliasse et inchinasseti anche, non li credere", perciò ch’elli fa per la sua utilità et non per amistà, acciò ch’elgli ti vuole prendere et ingannare per amore et per lusinghe, quando non ti può ingannare per força. Et Salamon disse che dinançi da tte lagrimerà lo nimicho tuo et, s'egli vederà tempo, non si po t erà sacçiare del tuo sangue. Et Petro Alifonso disse: "Non t’acompaigniare coi nemici tui, con ciò sia cosa che tu possi avere molti altri compagni, perciò che quelle cose ree che tu farai, tutte le terrano ad mente et le buone tutte obliveranno". Et generalmente ti dicho che tu con tutta g ente dia parlare cautamente, perciò che molti sono tenuti amici che in verità sono nemici. Onde dice Petro Alfonso che tutti quelli che tu non cognosci [ f. 6r ] quasi déi sospicare, cioè che non siano tuoi nemici. Unde disse: "Non andare per via con neuno che tu innançi non cognoschi. Et se alcuno ti si accompagnia che tu non cognosci ne la via, et domanditi ove tu vai, digli che tu vuogli andare assai più a llungha che tu non t' ài posto in chuore; et s’egli à lancia vagli dal lato diritto et s’igli à spada vagli dal lato sinistro".
-> Anche dé' guardare se tu vuoli parlare ad un c h'omo o a stolto. Per ch'ioPerciò che Salamon disse che tu non déi parlare in de l’orecchie de lo stolto, perciò che dispregiata la dottrina tua. Et anche disse: "L’uomo savio, s’elgli combbatte co’ lo stolto, overo che rida over che s’adiri, sempre li farà noia". Et anche: "Lo stolto non riceve parole savie, se tu no li disse dici parole che gli piacciano et che sono nel chuore suo". Et Giovan Sirac disse: "Queli che dissie a lo stolto savie parole è come quelli che parla con cuolui che dorme; unde nel fine del suo detto dirà: Chi se’ tu?".
-> Anche déi guardare che tu non parli con neuno huomo schernidore. Unde si tro truova scripto: "Non aver compagnia c chon ischernidori, ançi fugi la lor compagnia come 'l tosco, perciò che non ti potrai guardare che e’ non ti inganni et non ti faccia disinore". Et Salamon disse: "Non rip ren dere lo schernidore, però che elgli te i n’odiarà; ma riprend' el savio et amarattene". Et Seneca disse: "Cuolui che chorregie il truffadore fa iniuria ad sé medesmo; et chi gastigha l’uomo malvag lio à voglia di far male ad sé medesmo".
-> Anche déi guardare che non parli con neuno virlingoso et loquace, cioè con neuno che parli troppo. Perciò che 'l Profeta disse: "L’uomo virlinghoso non serà amato sopra terra". Et Giovan Sirac disse: "Terribile cosa è, cioè pericolosa, l’uomo virlingoso ne la citàcitade sua. Et cului ch’è sfacciato ne le parole sue sarà hodiato da la gente". Et anche: "Chi odia la loquacità distruge molti mali"; et anche disse: "Col l’uomo virlinghoso non parlare et non mettere legnia nel suo fo fuocho", cioè non l’adastiare di parole. Et anche disse: "Con molti non aver consiglio, perciò che non lo' può piacere se non quel ch’eglie amano".
-> Anche ti déi guardare che tu non parli con nemici. Unde dice Tullio: "La ragione de i nemici è a ppostutto da lasciare"; et vedere che è a ddire  nemici : cimos in greco tanto vale quanto in latino cane, onde sono detti n imici coloroe che quando voglioano parlare latran come cane. D'i quali disse Domenedio: "Non gittare le margarite tra i porci".
-> Anche dé' guardare che tu non tencçioni con ma livoli , cioè con malvagi huomini. Perciò che santo Augustino dice: "Secondo ch e `l fuocho quanto più vi metti entro legnia, tanto fa magiore fiamma, così il malvagio huomo quanto egli più ode la ragione, tanto più cresce ne la malicçia"; et nell’animo malivol e e nonn-entra savecasaçietà, secondo che Cristo disse: "Non tencçionare di parole con coloro che sono verbosi, cioè ch’àno molte parole, perciò che la parola è data a tutta gente; ma 'l savere dell’animo è dato a pochi".
-> Anche guarda che di tuoi se creti non parli con huomo ebbrioso né con fe mina , perciò che disse Salamone che neuna chosa secreta può dimorare in loro. Et in un altro luogo disse: "La garr ul ic ità, cioè lie garricite de le femine, non può celare neuna cosa, se non quello que non sa".
-> Anche, quando tu vuo' dire alcuna cosa, dia g uardare chi son coloro che ti debbono intendere, perciò che si truova scrip to che tu ti déi guardare dintorno quando tu vuo' dire alcuna cosa, maximamente che non piaccia forse agl'uomini, acciò che non ve n’abbia forse qualcheuno che ti riprenda et dica che tu abbi mal detto.
-> Et certo molti exempli ti potrei ponere ad intendere quest e parole ad cui; ma bastino q quele che dett e sono.
-> Come huomo dé guardare la cagione nei detti come ne' fatti
-> Ogiumai ti voglio mostrare che tu déi intendere per questa parola perché, è a dire perché, cioè per che ragione. Onde tu déi guardare la cagione del detto tuo, secondo che ne' fatti è da considerare la cagione. Secondo che dice Seneca che di ciasche duno fatto déi addimandare cagione [ f. 6v ] et quando tu se’ nel cominciamento déi guardare a la fine, così nei detti sempre déi richiedere la cagione: perciò che secondo che neuna cosa si fa sança cagione, né `l imondo non si mantiene per casi fortuiti, cioè per avenementi, secondo che dice Cassiodoro, così tu non déi dire alcuna cosa sança cagione; et secondo che in una cosa si truova quattro causae, cioè la cagione materiale et la cagione formale et la efficiente et la finale, così nel detto si posson trovare queste quattro cagione. Et con ciò sia cosa che io t’abbia mostrato guarda la cagione materiale e la cagione efficiente, perciò che t’ò detto che tu déi guardare che cosa tu déi dire et chi tu se’ che tu voli parlare, N V oglioti mostrare ora a la cagione finale, cioè ad che fine tu déi parlare et questo intendo per questa parola perché. Et dippo’ questa t’insegnerò a guardare a la cagione formale, cioè al modo de parlare.
-> Sia adunque la finale cagione del detto tuo, cioè quel che si de’ seguitare de le tue parole, o per servire et per obbedire a dDio, o per utilità de gl'uomini, over per utilità d’alcun tuo amicho. In servigio di Dio déi parlare secondo che fanno i frati predicatori et minori et altri religiosi, confortando ciascheun uomo che non debbia fare quello altrui che non vollesse che fosse fatto a lui; et che egli debbia fare a ciascheuna persona quello che volesse che fosse fatto a sé, acciò che possa pervenire all’allegreç e a de la vita eterna. Per alcuno tuo specçiale amico déi parlare secondo che fanno li advocati et altri arringatori; et da che tu parli per utilità d’alcuna specçial persona, nonn-è sconvenevole che te se ne seguiti specçiale utilità. Onde dice santo Augostino: "Licita cosa è all’avocato di vendere la sua giusta avocacione, et quel ch’è ben dotto di ragione può vendere lo giusto consiglio".
-> Et perciò guarda se `l tuo è giusto consiglio et se `l tuo consiglio, del quale tu déi avere utilità, è di cosa giusta et bella over di cosa soçça. Imperciò che la leggie dice che i soççi guadagni son da avere inn-odio ecçiamdio dagl'uomini che son men che buoni. Et Seneca disse: "Fugge 'l lo soçç o o guadagnio come d’essere impe so per la gola". Et un altro disse: "Lo guadagnio di mala fama, cioè che dispiace ad tutti o a maggior parte de le gente, è da reputare per danno". Et anch e si truova scrip to : "Più tosto vorrei aver perduto che soççamente guadagniato".
-> Ancho che dé essere lo comodo, cioè 'llo guadagnio tuo, moderato, onde è detto comodo, cioè con modo cioè con modo. Unde disse Cassiodoro che se `l comodo passa la misura di quel ch’è convenevile, non può mai esser detto comodo, cioè guadagnio. Dé anche esser lo comodo e `l guadagnio tuo naturale et quasi coumune, cioè cun tu a utilità et d’altrui, et non con danno d’alcun'altro. Unde dice la leggie che naturale et giusta cosa è che neuna persona non diventi riccho del danno altrui. Et Tullio disse che né paura, né dolore, né morte, né alcun'altra cosa che possa advenire ad l’uomo è tanto contra natura quan to a crescere lo suo comodo dell’altrui comodo, cioè arrichire dell’altrui con danno altrui et maximamente di quello del povero huomo. Et ciò è che disse Cassiodero: che sopra tutte le crudelità che si possan fare è che l’omo diventi, o voglia diventare, riccho de la povertà del mendico.
-> Per comodo et utilità delgl'uomini parlaro coloro che fecero le leggij et color che fanno li costituti et gli ordinamenti e le segnorie de le terre, acciò che ciascheduno si conservi ne lo suo stato; et tu a cciò ti sforça quanto poi puoi et tutta fiata con modo et con ragione. Et anche può esser lo fine in servigio di dDio et digl'uomini del mondo, secondo che fanno li preti et gli altri cherici scolari et maximamente in servigio di dDio et anche per loro utilità. Ancho non déi dire né fare per l’amico tuo se non cosa giusta et bella. Anche secondo la Regola de l’amore non è scusato da peccato cului che pecca per cagion dell’amico suo; et se tu sofferi li peccati d 'al t rui fai i tuoi. Et anche si suol dire che chi dà a a iuto al peccato, pecca duo fiate; et apparechiasi di peccare chelli ch’aiuta lo nocente et maximamente ne la cosa soçça. Unde disse [ f. 7r ] Seneca che ne la cosa soçça si può peccare in du o modi. Addunque dé' difendere l’amico tuo giustamente, acciò che tu si'a tenuto proprio difenditore. Secondo che disse Cassiodoro che proprio difenditore è chelli che difende giustamente. Et anche per tutte queste ser cose, cioè per servigio di dDio et per utilità degl'uomini et di tuoi speouiali amici, parla et adopera volontieri, quando tu puoi.
-> Et questo ti basti aguale per exponere questa parola: perché.
-> Del modo del parlare et del pronuncçiare
-> Et voglioti 'nsegnare da qui inançi che tu déi intendere per questa parola come, et così averai a tte tutte et quattro le cagione che si possoro trovare in ciascheuna cosa. Et dicoti che questa parola come significa modo. Addunque tu déi guardare lo modo del parlare tuo, perciò che, secondo che ne le cose è d a osservare modo, del quale è usato a ddire: el modo è in t utte le cose et infine son tuttie, oltra quali né infra quali nonn-è neuna cosa diricta, così ne' detti, se tu non ài modo, non potrai dire cosa che buona sia. Unde disse Cassiodoro: "El modo è da lodare in ognie luogho". Sia addunque el modo et lo tuo parlare in cinque cose, cioè in del pronuncçiare, cioè ne la belleçça de le parolae, et sia ne la rateça, overo affretteça, sia ne la tardeçça et ne la quantità et ne la qualità.
-> Veggiamo addunque che è a dire pronuncçiacçione: pronumptiatione è manifestamento dell’animo con parole, secondo che si conviene a le cose de le qual e i tu parli et che diletti coloro che pensano, secondo che disse Tullio che `l parlare non troppo savio, se egli è acconciamente fatto, è molto lodato, et advegna che ella sia bella et pulita, s'egli è fatto disconciamente è dispregiato et fattone beffe. Addunque nel pronuncçiamento tuo déi osservare et averae temperança di voce et di spirito, et nel movimento del corpo et de la lingua; déi molto considerare et discacciar da te tutti viçij de la bocca, se n’ài, acciò che l e parol e tu e non siano e i nfiate, né gorgot ta tçe ne la gola et non sia la voce tua ismancevole, né aviluppata infra i denti, né non sia fatta con grandi aperimenti di labri e discoprimento di denti, ma sia expressa igualmente et lievemente et chiaramente detta, sì che ciascheduna lettera e ciascheuna parola sia detta col suo suono, sança ogna rem uore et grido, acciò che per le molte grande grida et distendimento di collo non sia inpedito lo tuo parlare.
-> Anche déi considerare nel parlar tuo , cioè ne l’aringamento che ti convennisse alcuna fiata farae in consiglio o dinançi ad gran segniore, lo luogo et la cosa et la cagione e `l tempo: perciò che altre parole si deono dire con simplicità, et tali si convengono affermare per detto di savio huomo, et tali si convengono dir indignacçione et ira, et tali che si convengono dir con humilità; et così 'l detto tuo sempre déi rispondere a la cagion sua. Et déi tenere la faccia e la testa tua dritta et piacevole, non torcendoti nelle latora, non espiciandoespeççando la bocca, non tenendo 'l vuoltoil volto rivescio, non v o lgendo gli occhi ad terra et ad cielo, né col capo chinato, né levando le ciglia ad alto, perciò che neuna cosa che non si conviene non può piacere. Unde disse Tullio ch'è capo d’arte far quello que si convien e . Anche leccare li labbra o mordigli nonn-è bella cosa et a quelli che vole piacere nel parlare. Et quando tu ài a dire gran cose, diele dire grandemente et vigorosamente. Et quando ài a ddire picciule cose, de'le dire pianamente et agevolemente, secondo che si conviene; perciò che ne le picciole cose non è a ddire neuna cosa tropp a o grande né troppo maravigliose, ma ne le gran cose, secondo che quando l’uomo parla di dDio et de la salute degl'uomini, déi parlare con grande maraviglie, con gran magnificenia et con gran potença; et ne le cose temperate, secondo che quando l’uomo parla solamente acciò che deletti agli oditori, dé parlare meçanamente. Et alcuna fiata che l’uomo parla di grande cosa, et non si coviene parlar troppo grandissimamente.
-> Et perciò se t’avenisse che tu dovessi lodare alcuna persona u vituperare, temperatamente il fa. Perciò che Seneca disse ne la forma de l’onesta vita: "Loda poco et vitupera meno". Et [ f. 7v ] è altresì da riprendere lo troppo lodare come `l troppo biasmare, perciò che `l troppo lodare si pertiene a llusinghe, el troppo vituperare si pertiene ad malvagità. Et non déi lodare neuna persona in sua preçança, onde si truova scripto che lodare né far danno altrui déi in sua presença.
-> Anche déi considerare et aver modo di parlare avaccio et lento secondo che si chonviene, et altramenti nel parlare che in far l’altre cose, perciò che non déi esser veloce nel parlare, cioè fretoloso furioso ançi lento secondo il modo convenevole. Unde dice beato Jacobo ne la Pistola sua: "ad urae (sic) et tardo ad parlare et tardo ad ira". Onde dimorare et pensare ne le cose nonn-è male. Onde è scusato di dire: "Ogne dimorança è tenuta in odio, i ma fa l’uomo savio". Et anch e consigli da aver tardeça et non fretta. Unde si truova scripto che dei consigli quello che molto si ragiona et si pensa è più diretto, perciò che chi dà o riceve a ffretta, bisognio è che po scia si ne penta. Et anche si dice: "Tre cose sono contraire al consiglio: fretta, ira et cupidità, cioè desiderio di guadagnaire". Ma quando tu vuoi fare la cosa, et poi che tu averai sopra deliberato et pensato, spigliatamente déi fare. Onde disse Seneca ne le Pistolae: "Men di’ et fa più et per lungo tempo pencça et fa tostamente", perciò che la tosteça fa la cosa gracçiosa. Et Salamone disse: "L’uomo ch’è veloce et spigliato in tutte le sue opere starà dinançi dai re et none starà coi villani". Et tutta fiata ti guarda che tu non sia sì veloce che tu déi fare si ne possa inpedimen tire .
-> Ancho déi guardare che `l tuo parlare non sia molto in quantità, perciò che molto parlare non è sensa peccato. Et Salamon disse nell' Egri siastico che d o po molti pensieri si seguita senno et dipo’ molto parlare si truova stolteça. Et Seneca disse: "Neiuna cosa è che tanto faccia pro et hutilità altrui come `l poco parlare". Et Socrate disse: "Tu potrai ad tutta giente piacere se tu farai buone cose et parlerai poco". Anche déi aver modo ne la qualità del parlare, cioè in ben dire. Onde si truova scripto che principio de l'amistà è ben parlare, et mal parlare è nascimento di nimistà. Et dé' dire parole allegre et honeste et lucide et comunali et savie con piana bocca et queto volto, non con riso, non con grida. Unde disse Salamone che parole composte, cioè saggie et ben dette, son fiadon di mele et dolceça d’animo et sanità dell’ossa.
-> Et questo ti basti sopra questa parola come.
-> Quando la parola importa tempo
-> Rimane a insegnarti che tu dé' intendere per questa parola quando. Et de’ sapere che quando importa tempo. Et perciò diligent e mente déi guardare lo tempo et l’ordine del tuo parlare. Onde disse Giovan Sirac: "Lo savio huomo st a rà queto fine a bbuono peçç o , ma l’uomo lascivio, e vago et matto, non cura di tempo". Considera addunque el tempo di parlare, acciò che si seguita la parola di Salamone che disse: "El tempo di parlare et di tacere è gran temperamento nel parlare". Abbi addunque in te silencçio, cioè queteçça, finattanto che t’è mistiere di parlare.
-> Et non solamente déi osservare silencçio tu, ma ecçiam dé i o aspectare lo silencçio d’un altro. Addunque aspetta tempo di parlare finattanto che tu ne vedi che tu siea udito. Per ciò che disse Giovan Sirac che colà ove nonn-è audito , non è da far sermone et o increscievole non ti tenere buono di tuo savere, che increscievole è la parola tua quando tu non se’ udito. Et se’ chome quelli che suona la viola infra color che piangono. Et così come coului che parla ad color che non l’odono, et come cului che parla ad cu lui che dorme.
-> Et non solamente dé' considerare tempo quando tu parli altrui, ma ecçiamdio quando tu rispondi altrui. Onde si truova scripto: "Non t’affrettare di rispondere infinatanto che quelli che disse non nà compiuto di dire". Unde dice Salamone che ch quelli che risponde innançi ch’egli oda si mostra essere stolto et d’essere degnio di confusione. Et simigliantemente quelli que che parli inançi ch’egli appari affretasi d’essere tenuto ad vile et d’essere sch ernito. [ f. ] Onde disse Gesù Sirac: "Innançi che tu giudichi guarda a la giusticçia, et innançi che tu parli inpara". Déi addunque richiedere 'l tempo et ordine in tutte le cose et in tutto `l parlar tuo, sì che quel che tu déi dire innançi, che tu 'l dichi innançi et non diposcia, et quel che dé' dire diposcia, dichil diposcia et non innançi, et quel di meço in meço, perciò che se tu dé innançi dire la storia, cioè quel che s'intende per la storia, et puoi la troppo longha (sic).
-> Et se tu volessi parlare per pistola, cioè per alcuna lettera che tu mandassi, in prima dia ponere la salutacçione, et poi l’esordio, cioè alcuna similitudine, et poi la narracçione, cioè quel tu manderai a dire, et poi la piticione, cioè si tu voli addomandare alcuna cosa, et poi la conclucçione, cioè imponere fine al detto tuo. Et se tu vollessi parlare in parlamento overo in a m basciate, in prima, secondo `l tempo et secondo `l luogo, de' dire la salutacçione, et poi de' lodare coloro ad cui tu porti l’anbasciata, et poi lodare li compagni tu i oj , poi de’ dire et narrare quel che t’è posto in anbasciata, poi de' pregare che l’ambasciata tua sia menata ad compimento, et poi il dire il modo secondo `l qu e l è quel che tu addomandi si'l può fare, et de' ponere exempli ne le cose simigliante, et poi assignare sufficiente ragione ad tutte queste cose.
-> Et questo farai a ssimigliança dell’angelo Gabriel, quando egli fu mandato da Dio a la beata vergine Maria, el quale in prima puose la salutacçione quando egli disse: "Ave, Maria", cioè benedetta sè tu Maria; et possia la lodò et disse: "Gracçia plena", cioè piena d’ogne gracçia; "Domenedio è con teco et benedetto `l frutto del ventre tuo"; et la confortò et disse: "Non temer Maria ché trovato ài gracçia appo Dio". Et vede che puose innançi confortacçione che narracçione, perciò che la beata virgine Maria ne l’advenimento et nel salutare dell’angelo ebbe come paura. Et qua ndo puose l’anuncçiacçione et disse: "Tu diventerai gravida et averai figliuolo". Et quin d o puos e l a sspressione dello modo: "Lo Spirito Santo verrà in te et la virtù de l’Altissimo dimorrà in te". Et sexto puose l’exemplo et disse: "Et li sabbet (sic), tua cogniata, ebbe figliuolo in sua vecchieçça"; et settimo assengniò sufficiente causa et ragione et ad tutte queste cose et disse: "Per c iò che nonn-è appo Dio inpossevile ogne parola". Et se tu vorrai trattare di legge o di decretali, etin prim' apporrai la lettera et poi il caso, et poscia la sposicçione de la lettera, et poi li exempli et le cocordanç e , et poscia le contrarietà, et poi le solucçione; et così di ciascheduna sciencçia secondo che si conviene.
-> Et questi pochi exempli ti bastino a sapere questa parola quando. Et tu medesimo, et co’ lo `ngiengnio et con savere che Dio t’à prestato, tisforcça te di trovare et d’agiungniere supra ciascuna parola di questao verso, che, secondo che sopra l’abecedario tutte le sciencçie si volgono, così supra questo verso si può refrenire (sic) et conpensare ciò che si dice et chi si fa. Bastiti dunque questa dottrina sopra 'l parlare et sopra 'l tacere, la quala è compresa in questo verso et a tte et ai frati tui che sono letterati, perciò che la vita de' letterati è più in nel dire chel nel fare. Unde disse Seneca: "All’uomo letterato non si conviene aveir molte facende et operare molte forçe". Et se tu vuoli aver dottrina et amaiestramento del fare come tu ài amico (sic) del parlare, trai verso questa parola dire et in suo luogo pone questa parola fare, et così: "Chi tu sè et che cosa et a ccui tu vuo' fare, perchè et come et quando déi addomandare".
-> Et così tutte ciò che io t’ò detto potrai acconciare a questo verso, et molto più. Et perciò ti prego che tu ne le parole che io t’ò dette, ti debbi exercitare et affatigare et studiare sopr’esse; perciò che lo studio aiuta lo `ngieno et vince spesse fiata la natura, et l’uso valica ogni comandamento di maiestro, et così serai ardito maiestro di parlare et di tacere et di fare. Et prega Dio che m’à donato gracia di poterti dir queste paroule, che ne conduca all’allegreçe de la vita eterna.Amen.
-> Qui è compiuto lo primo libro de la dottrina del parlare et del taciere, fatto da Albertano giudice et avogado di leggio de la cata (sic) di Brescia de la contrada di Sant'Agatha, translatato et volgariçato da Andrea da Grosseto ne la cità di Parigi

Gaddi Reliqui 143

<- [ f. 47r ] In de lo incominciamento e allo meço e a la fine del mio trattato sia presente la gratia dello Spirito Sancto amen.
<- Inperò che molti errano in del parlare e no è nessuno che compiutamente possa domare la lingua sua, secondo che disse beato Jacopo, lo quale disse: "la natura de le bestie e de’ serpenti e de li uccelli e di tutte altre cose sono domate dalla natura dell’uomo ma no è alcuno che possa domare la lingua sua", io Albertano abbo volontade di mostrarti una piccola doctrina e utile come sopra lo tacere et sopra l'udire ; a tte figluolo mio stefano mosteriroe sì come si contiene in uno verso. Lo verso sì è questo: "Chi tu se’, e che cosa, e a cui tu vuoli dire, perché, e come, e quanto tu richiedi".
<- Ma inperò che le parole che si contegnono in questo verso sono gravi et generali, e la generalità rende obscurità, le decte parole, secondo lo senno e llo savere mio òe proponimento di mostrartile, avengna che no compiutamente. Tu donqua fillio mio karissimo, quando tu ài volontade di parlare, da te medesimo dei incominciare a simigliança del gallo, lo quale si percuote tre fiate so l’ale inançi che canti. Donque in de lo incominciamento tuo, ançi che parli, richiedi te medesimo e tutte le parole sono poste in questo verso, cioè richiedere (sic) te medesimo, perciò che questa parola raporta incominciamento, e è a dire richiedi, cioè incomincia ad dimandare, secondo che 'n contase demners (sic) cioè un’altra fiata conta.
<- Come non ti intrametti di quello che non ti apertiene
<- Richiedi donque nell’animo tuo qual persona tu se’ et che cosa tu vuoli dire e se quello che tu vuoi dire pertiene a te di dire o altrui. Se apertiene altrui non ti inframettere più che a te sapartegna; e se quello detto pertiene più a te che ad un altro, non ti inframettere di quello detto, però che la Legge dice che secondo che è da incolpare colui che non si inframette de la cosa che allui apertiene e delle parole ch'a llui apertiene. Unde disse Salamone in de li Prouerbij che quello cotale è similliante a colui che vede ringhiare due cani e [ f. 47v ] non si puote tenere che non si inframetta di lor mischia. E Yhesus Sirac disse : "Di quella cosa che non ti molesta non combattere".
<- Ancora déi te medesimo et da te medesimo (sic) se tu se’ in buono senno u se tu se’ torbato per ira u per alcuna altra turbatione d’animo. E se l’animo tuo è turbato per neuna cosa de'ti guardare di non parlare et di costringere l’animo tuo turbato infine atanto che l’ira basta. Unde disse Tulio: "Virtudiosa cosa è di costringere li animi turbati e di farli obbedienti alla ragione" E inperò quando tu se’ irato non dei combattere de la cosa che tu non sai, però che ll’ira turba sì l’animo che non puote discernere la veritade. E un altro savio disse: "la lege vede colui che è irato, ma colui che è irato non vede la lege". E Ovidio disse: "O tu che vinci tutte l’altre cose, vinci l’animo tuo e ll’ira tua". E Tulio disse: "Sia da me lungi l’ira, co la quale neuna cosa si può fare né pensare drittamente, et tutte quelle cose che ssi fanno co’ ira et con turbatione non possono essere ferme che altra persona lo creda". Unde disse Petro Alifonso che la natura de l'homo àe questo in sé, che quando l’animo è turbato per alcuna cosa non può vedere né discernere la veritade né la falsitade. E se tu vuoi sapere pienamente dell’irato legi uno libro che fece Dell’amore e de la lettione di Dio e de l’altre cose e de la forma de la verità, in del capitolo Di schifare l’amistà dell’uomo irato.
<- E anco ti dei guardare, in de la volontà del parlare, che non tanto ti muova e t’afrecti a pparlare che l’apetito tuo non consenta alla ragione. Però dice Salamone che ll’uomo che non puote costringere l’animo e l’apetito suo in del parlare è secondo che la gittà è aperta e no à mura d'intorno. Ancora è usato di dire che colui che non sa parlare no sa tacere, donque lo stolto non sa parlare però che non sae tacere. Unde uno savio disse, quando fue adomandato perch’elli tacea contanto selli era perciò ch’elli era stolto, quelli rispuose e disse (sic): "Lo stolto non può tacere". E Salamone disse: "tieni a vile e reputa neiente l’oro e l’argento tuo, alle parole tue se vi poni statera e misura, e poni alla bocca tua dricti freni, e guarda che ttu non trascorri in te la lingua tua e sia lo cadimento [ f. 48r ] tuo insanabile a morte. E dice Salamone: "Colui che guarda la bocca sua guarda l’anima sua, ma quello che parla isfacciatamente sentirà male". E Cato dice: "grande virtudie è di sapere costringere la lingua sua, proximo è a Dio colui che sae tacere a ragione .
<- Anco déi richiedere te medesimo e pensare in dell'animo tuo chi tu se’ che vuoi parlare a uno e riprendere un altro, se tu puoi essere ripreso d'uno similliante detto u in facto; però che beato Paulo disse in de la Epistola la quale mandò alli Romani: "Ongna homo che tu giutichi non ti può schyre (sic) in perciò che quella medesima cosa chettu giudichi un altro condanni te medesimo, in però che tu fai quelle medesime cose che tu giudichi. E anco dice in quella medesima Epistola: "O tu che amaestri altrui e no amaestri te medesimo, tu predichi che neuno homo furi e tu vuoi furare, e dici che neuno non sia luxurioso e ài in abominatione l’idoli e fai sacrilegio, cioè che rubbi le ecclesie, e non honori Dio". E Cato dixe: "Non fare quelle cose che tu se’ usato di biasmare, ché soça cosa è a colui che insegna a un altro se elli puote essere ripreso di quella medesima cosa". E Sancto Agustino dixe: "Ben dire e male vivere no è altro che dannare se medesimo colla voce sua". E in un altro luogo dixe Cato: "Non biasmare lo detto e 'l facto d’un altro che né un altro biasmi te per similliante exemplo.
<- Anco dei guardare infra te medesimo chi tu se’ che vuoi parlare, se tu se’ savio o no e se tu sai bene quello che vuoi dire ché altramente non potresti ben dire. Unde uno che domandoe uno savio homo com’elli potesse parlare saviamente, e quelli rispuose e disse: "Se tu dirai saviamente quello che tu sai bene". E Yhesus Sirac dixe: "Se tu se’ savio rispondi all’amico tuo e sennò poni la mano tua alla bocca tua acciò che ttu non sie ripreso di macto parlare e abine danno.
<- Anco de’ richiedere che ne puote seguitare del tuo parlare. però che sono alquante cose che dallo incominciamento paiono buone e in dela fine male effecto. Unde dixe Yhesus Sirac: "In tutti li beni troverai due mali e inperò non solamente déi guardare allo principio ma etiandio alla fine déi guardare e in dela fine si riponi ogna cosa ben facta e mal facta". Riguarda lo principio [ f. 48v ] e lla fine dele parole accio chettu possi dire meglio quello che tu vuoi dire. E se tu vedrai e dubitrai nel (sic) buono effetto si debbia seguitare del tuo parlare mala fine dei più tosto tacere che parlare. Unde dixe Petro Alifonso, che fue grande phylosopho: "Se tu ài paura di dire che tti sia pentimento meglio è che ttu nol dichi che ttu lo dichi", però che al savio homo s’apartiene più di tacere per sé che parlare contra sé. Unde molte persone ò vedute avere dampno del parlare, ma di tacere non viddi anco avere dampno altrui; però che le parole sono simillianti alle saette, le quali agevilemente entrano e malagevilemente escono. Unde dixe Boeço: "La paraola che è detta non puote essere mai per non detta", e inperò in neli dubbi meglio è tacere che parlare secondo che in deli facti dubbiosi meglio è di no fare fare secondo che disse Tulio lo quale disse ben comandano coloro che vietano di non fare quelle cose dele quali est dubbio s'elle non sono giuste e buone o meno che buone, però che la iustiçia per sé è manifestamente buona, ma la cosa dubbiosa à in sé dampno. Unde dixe uno savio homo: "Se tu dubiti neuna cosa no lla fare".
<- E deti guardare di non fare cosa la quale non ti dice lo cuore di fare e anco non dei fare tutte le cose che non ti dice lo cuore di fare, però che Seneca disse: "Alcuna fiata mateça consiglia l’uomo in dele cose dubiose".
<- E certo molte cose ti potrei dire ad isponere quella parola chi tu se’; ma questi .V. exempli ch’io t'ò detto ti bastino però ch’io non vo’ fare longo tractato.
<- Come dei guardare la cosa che tu vuo' dire s'ella è verità o falsità
<- Da poi che è veduto come si de’ intendere questa parola chi tu se’ vo’ti mostrare che ttu déi intendere per questa parola che cosa è.
<- E certo tu dei guardare se la cosa che tu vuoi dire è veritade o falsità, se falsità no lla déi dire ançi ciò che tu dirai sia pura veritade. Unde dixe Yhesus Sirac: "Inançi a tutte l’opere tue sì vadano paraule di veritade e inaçi (sic) che ttu faccie la cosa déi essere fermamente consiliato", però che la verità è da honorare sopra tutte l’altre cose inperò che ella sola fa essere l’uomo presso a dDio secondo che elli medesimo dice: "Io sono via e veritade".
<- Donqua se tu vuoi parlare dei dire al postutto veritade levando da te ongne busgia. Unde disse Salamone in dell’Ecresiastico: "Più è da amare uno ladrone che uno che uno che dica senpre busgia [ f. 49r ] e falsitade". E un altro savio dixe: "Aconsenti alla verità u dichi tu, o dica un altro, u sia detta a te". E Kasseodoro dixe: "pessima usança è a biasmare la verità"; intendi la verità in dela quale non è mischiata alcuna falsitade. E ciò è che disse Casseodoro: "Buona cosa è la veritade se con esso (sic) no è mischiata alcuna falsitade. E cioè questo intendo de la verità sinplice, cioè leale. Unde disse Seneca: "Le parole di colui che vuole dire aperta verità deono essere sinplice e non composte", cioè non viçiate.
<- Debbie in tale modo parlare che cciò che tu dici di veritade possi lealmente giurare e non abbiano alcuno disgualio infra la tua sinplice parola: ella è saramento. Unde dixe Seneca: "Colui che dirà parole che nolle potrà giurare tienlo a vile e per nulla lo saramento suo". E ancho disse in uno libro che è Fede (sic) della honesta vita: "Non sia punto di força in fra te di dire e di fermare le parole e dei giurare le (sic), però che là unque sittera (sic) de la fede e si dice santa e cortese cosa. E advegna che non si faccia quine mentione ne preghiera a dDio con saramento e con testimonio almeno l'omo in iustitia.
<- E se alcuna fiata tu se’ costretto di dire e d’usare alcuna fiata buscia, tu la dei dire a guardia e difendimento dela veritade e non de la falsitade. E se tt'averrà che tu possi ricomprare u guardare una fedeltade e una iusta cosa per una busgia non serai però tenuto busciardo, ançi ne serai laudato però che ‘l giusto homo non puote mentire né ingannare quando elle (sic) àe iusta casgione, unde quelle cose che dei dire dille e quelle che non déi dire no lle dire" non dice di (sic).
<- Donqua die veritade pura e sinplice e prega Dio che faccia da lunga da te le parole false e di buscia. Unde dixe (sic) Salamone dixe e pregoe Dio: "Singnore a te faccio prego che tu mi faccie due cose inançi ch’io muoia l’una (sic) che tu vanitade e paraule di falsitade fa' lungi da me". E secondo che tu non déi dire contro la veritade così non dei fare contro la veritade. Unde dixe Sancto Paulo in dela seconda Epistola che moandoe a Corintios, cioè a quelli di quella tera che avea nome Corintia: "Noi non potemo alcuna cosa contro la verità, ma co'lla verità sìe".
<- Ancho déi dire tal verità che ti sia creduta, ché altramente serebbe tenuta falsità, però che lla [ f. 49v ] verità che no è creduta è tenuta come falsità e buscia, e lla buscia che è creduta è come verità; e però disse di sopra che tu dei dire verità schifando ongne buscia malitiosa cioè d’inganevile cosa. Unde non de’ essere tenuto falso e fallace quelli che dice falsità e crede che sia verità e adviene altresì lo contradio, che colui che dice la verità e crede dire falsità non de’ essere tenuto buono ma falso e ingannatore. E no è libero da falsità colui che cognosce la falsità e dicela volentieri secondo che dice beato Agustino.
<- Anco dei guardare se la cosa che tu vuoi dire è aspra o dolce e soave, però che dolci parole sono da dire e l’aspre sono da tacere al postutto. Unde dixe Yhesus Sirac: " Viuole e celamelle fanno soave e dilectevile suono ma sopra tutte le cose la lingua de’ essere pregiata che dice parole soavi" . Et anco dixe: "la parola dolce multiplica li amici e humilia li nemici". Et anco suole dire che la salicce (sic) tiene la lepore ma la lingua del savio homo tiene sapiença e dolceça. E Panfilio disse: "Lo dolce parlare acquista e conserva honore".
<- E déi guardare che quello che vuoi dire se è duro o molle cioè orgoglioso o umile, però che le parole molli sono senpre da dire e no le dure. Unde dixe Salamone: "Dolce risponsione rompe spesso l’ira ma la parola dura suscita furore, cioè comune iniquitade".
<- Anco déi guardare se quello che tu vuoi dire omol è bello o soço però che lle belle e buone parole sono da dire lasciando al postuctto le soçe e lle rie. Unde dixe S.cto Paulo in de la prima Epistola a quelli di Corintios: "Non vi lasciate inganare che le rie paraule conronpeno li buoni costumi". E in un altro luogo dixe a quelli di Effesia: "Neuna parola soça n’esca de la boccha vostra". E anco in quello medesimo luogo dixe: "Soçe parole né obscure né stolte non siano in voi, secondo che ssi conviene a li sancti". Et Seneca dixe in De la forma del honesta vita: "Guardatevi da le soçe parole, ché la loro usança notrica stoltiça". E Salamone dixe: "colui che è usato di dire parole iniuriose e oltragiose non si castigherà in tutti li dì della vita sua". Donque la parola tua non sia soça ma sempre sia condita di sale di grazia, però che dice S.cto Paulo in de la Espitola ad Colosenses: [ f. 50r ] "La parola vostra sempre sia condita di sale di grazia acciò che voi sappiate rispondere come si conviene come si conviene (sic) a ciascuna persona". Anco déi guardare che tu non diche parole oscure, né dubiose, ma déi dire cosa chiara e aperta. Unde dice la Lege che non è sgualio tra colui che nega e colui che tace e colui che risponde obscura quanto è a questo, ch'è lasciare in dubbio colui che dimanda. Unde si truova scripto che meglio è essere muto che dire quello che neuno intenda. Anco déi guardare che non dichi neuna cosa sofistica cioè vanaglriosa (sic) né ingannevile, però che dixe Yhesus Sirac: "Colui che parla sofisticamente ciò ingannevilemente è odiato da ongne homo e no à alcuna grazia da Dio, però che ongna cosa vuole fraudare e tollere altrui".
<- Anco déi guardare che tu non dichi né facci alcuna cosa ingiuriosa e che torni a disnore ad alcuno, però che ssi truova scripto che chi fa ingiura ad uno minaccia molta gente. Unde dixe Yhesus Sirac: "Non ricordare la ingiura al proximo tuo e non fare cosa chessia d’ingiura". E Kasseodoro disse: "Per una ingiura si struge tutta una schiacta, cioè tutto uno parentado". Et S.cto Paulo dixe in dela Epistola ad Colocenses: "Colui che farà ingiura riceverà male di quelle cose che fae malvagiamente". Et Seneca dixe: "Aspecta da un altro quello che tu farai a uno altro". E questo s’intende di ciascuna ingiura malvagia, e maximamente di quella chessi fae sotto spece di bene e fae male. Unde dixe Tulio che no è magiore ingiura che quella chell’uomo fae aciò che paia buono homo e uuole ingannare altrui. Unde le ’ngiure e disnore sono cagione di grande male e non solamente fanno danno a questo ma etiamdio a tutto uno rengno e una provincia ne sostiene distrutione e mutamento tal fiata. E cio è che dice Yhesus Sirac: "Una provincia si muta di gente in gente per le ingiurie e per le malvagità". Non solamente ti déi guardare di dire e di fare ingiura ad un altro, ma etiamdio dei contastare ad un altro che vuole fare alcuna iniura, se tu puoi agevilemente. Unde dice Tullio in del libro delli Offitij: "Due modi sono di fare iniuria: l’uno è che l’altro dixe fae iniura ad altro; l’altro è quando [ f. 50v ] altre può sì fare che un altro non faccia ingiura a un altro e nol fae". Ponguoti tale exemplo: se Petro può sì fare che Martino non faccia ingiura a Giovanni e nol fae, dico che Petro fa ingiura a Giovanni così come Martino. E è altresì grande ingiura e altresì gran viço se tu non contrasti alla ingiura che puote essere facta al vicino tuo se tu puoi, come se tu abandonassi tu' padre e tua madre e lla tera tua e tutti li amici tuoi, se tu puoi agevilemente; però che quelle cose che l’uomo puote fare e puolle agevilemente, secondo che la Lege nostra dice. E se un altro ti dice ingiura dei stare cheto però che S.cto Agustino dixe in del libro Di Summo Bene, che più gloriosa cosa è a passare una ingiura e sofferire tacendo, che rispondendo vincere colui che tti dice l’angiura.
<- Anco déi guardare che tu non diche tradimento però che no è neuna cosa così mortale in dela gittade come lo tradimento.
<- Anco déi guardare che tu non dichi cosa scernevile né all’amico, né al nemico, né alcuna altra persona. Unde si truoua scripto che ll’uomo non dee schernerire (sic) l’amico suo per guoco (sic), perché quant’elli serae più amico, tanto più lo terrà per male se tu farai beffe di lui, e colui che è tuo inimico tosto verrà a parole teco, però che no è alcuna persona, se altre fa beffe di lui e scherne, ch'elli non de sia dolente, e che non si menimi l’amore tra lui e colui che fa beffe di lui. E secondo che dice la Regola dell’amore: "l’amore che ssi menima tosto viene meno e radi volte cresce". E certo tante volte potresti fare ingiura altrui che tu udiristi e ricevresti cosa che non ti piacerebbe. Unde disse Salamone: "Chi rinunça li altrui uitij tosto udirà rinunçare de’ suoi peccati". E Marciale disse: "Chi schernisce altrui no udirà che non sia schernito elli. E anco disse che è da biasmare colui che fa beffe privatamente d'un altro; e soça cosa è a colui che sequita quelle beffe.
<- Anco dei guardare la duodecima cosa: che tu non diche alcuna cosa dolosa cioè malvagia. Unde dixe lo propheta, cioè David, in del Saltero: "Dominedio disperga tutte le bocche che parlano malvagiamente e lla lingua che parla non gran cose". La terçadecima cosa è che tu dei guardare sì è che ttu non diche alcuna cosa con soperbia, però che Salamone dixe: "là u serà superbia quine serà ruina [ f. 51r ] , e quive u serà humilità quine serà sapiença con gloria". E dice Iob: Se la superbia andasse infine al cielo e tocasse li nuvili col capo, in de la fine serebbe sparta e vile come cosa di neiente". E Yhesus Sirac dixe: "L’omo superbio è odiato da Dio e da tutti l’uomini del mondo; e è da vituperare ongna iniquità". E anco dixe: "Le tentioni e lle ingiure istrugeno la substança de la substança dell’uomo, e lla casa ch’è ricca doventa povera per la superbia".
<- Anco de' guardare che non diche parole oçiose, però che ssi truova scripto che d’ongna parola otiosa dovemo rendere ragione a Dio. Adonque la parola tua el parlare tuo sia vero e efficace e non vano, sia ragionevile e dolce e soave, e sia molle e non duro, sia bello e non soço, sia aperto e no obscuro, né dubbioso, e sia non sofistico, né ingiurioso, e non sia seditioso, cioè pieno di tradimento; piano sia e non schernevile, sia non doloso, cioè ingannevile, sia non superbio, sia no oçioso, cioè sença uttilitade. E queste cose ti dico per doctrina e per amaestramento generale, però che tutte quelle cose che guastano la pietà nostra e lla estimatione nostra, e lla vergogna nostra, e brevemente tutte quelle cose che sono contra li buoni costumi, non è da tenere che lo possiamo fare, secondo che la lege nostra dice. E secondo che noi no li dovemo fare, no le dovemo dire, però che Socrate dixe: "Quelle cose che sono soçe a ffare non credo che ssiano honeste a ddire". Donque de' fare sempre cose honeste, non solamente infra coloro che tu non cognosci, ma etiamdio infra li amici tuoi, però che colui che usa honeste parole infra li altri non è convenevile che usi inhoneste parole infra li suoi, conciò sia cosa che in ciascuna parte de la vita nostra sia molto necessaria la honestade.
<- E certo infiniti exempli ti potrei dire ad isponere questa parola che cosa, sia queste xiiij cose che io t'ò dette ti bastino a questa fiata.
<- Come tu déi considerare a cui parli e che cosa
<- Possa chettoe mostrato che ssi dee intendere per queste due parole chi tu se’ e che cosa, voglioti insengnare che tu dei intendere per questa parola a cui.
<- E certo quando tu vuoi parlare, tu dei considerare a cui parli, in però che coll’amico tu dei parlare bene e saviamente unde no è neuna chosa più da amare che avere uno amico co' lo quale tu possi parlare secondo che con te medesimo e tutta fiata sì tti dei guardare [ f. 51v ] che tu a neuno tuo amico dichi neuna cosa dela quale tu abbi paura e sinde dolente se elli la dicesse ad un altro quando elli fosse facto tuo nimico. Unde dice Seneca in del libro delle Epistole: "Tu déi parlare co’ li amici tuoi come se Dio ti vedesse e sì déi vivere co' lli amici tuoi", cioè pensa in dell’animo tuo, quando tu parli co' ll’amico tuo e vivi, ché Dio ode e vede ciò che tu dici e fai. Et un altro savio dixe: "Se tu ài l’amico guarda che no abbi paura che te 'l convengna temere se divenisse tuo inimico. E Petro Alifonso disse, per li amici che non sono provati e veraci: "Guardati una fiata dal nemico e mille fiate dalli amici tuoi, però che llamico alcuna fiata diviene inimico e così più tosto ti potrebbe far danpno".
<- E dicoti così, che se alcuna tua cosa secreta, de la quale tu non vuoi e non possi auere consiglio che tu la debbie tenere e non manifestarla ad alcuno. Unde dixe Yhesus Sirac: "All’amico, né al nemico tuo non dei manifestare tutte tuoi cose secrete e maximamente li peccati e lle malvagitadi, però che tti dirà aguardati quasi difendendoti e excusandoti farà fare beffe di te. E un altro savio dixe: "Quello che ttu vuoi che ssia secreto no llo dire altrui". E un altro savio dixe: "Apena che tu possi trovare un altro che possa tenere celata una cosa secreta". E un altro savio dixe: "Lo consiglio e lle cose tuoi tielle rinchiuse, secondo che nella prigione tua, però quando tu ll'a rai manifestata ella terrà te in dela prigione sua legato. E un altro savio dixe: "Quelli che tiene lo consiglio suo in nel cuore suo è singnore di sé e di prendere la migliore parte" e più sicura cosa è a stare cheto, che pregare un altro che stia cheto. E di ciò dixe Seneca una buona parola: "Se tu non starai cheto come comandi che stia cheto un altro?" e se tu arai una tua faccienda secreta, de la quale tu vuoi avere consiglio, de’la manifestare al più fedele e al più provato amico che tu ài. Unde dixe Salamone chell’uomo de’ avere molti amici ma consillieri e consigliatori de’ avere uno infra mille. E Cato dixe: "Lo secreto consiglio dei dire allo fidele amico, e lla infermitade [ f. 52r ] del corpo dei dire al fidele medico", e anco tu non déi molto parlare né manifestare alcuna cosa privata. E ciò è che dice Ysopo: "Non affidare e non manifestare alcuna tua cosa privata a colui con cui tu ài combactuto".
<- E in ullatro (sic) luogo dixe: "Non avere fede, né sperança del nemico tuo", e questo déi intendere etiamdio poi ch'ài facto pace co’ lui. Però che ssi truova scripto che neuno può mai avere perfettamente l’amore, né la graçia, di colui che lli sia stato inimico, però che' vapori dell’odio rimagnono allo inimico. Unde dixe Seneca: "Colà u sta lungamente lo fuocho non può essere sança fummo". Et anco dixe: "Meglio è che ll'uomo muoia co' ll'amico suo, che viva con colui che t’è stato inimico lungamente, e non credere in perpetua, e se elli si humiliasse e tti inchinasse, anco non li dei credere", però che elli lo fa per sua uttilitade e non per tua amistade, ad ciò che elli ti vuole ingannare e prendere per amore, da che non ti puote ingannare per força. E in un altro luogo dixe Salamone che dinanthi da te lacrimerà lo nimico tuo, e s’elli vedrà tempo, non si potrà saçare del sangue tuo. E Petro Alifos dixe: Non ti acompagnare con li inimici tuoi, con ciò sia cosa che tu possi avere molti altri compangni, però che quelle cose che tu farai tutte le tenranno a mente e lle buone dimenticheranno". E generalemente ti dico che tu con tutta gente dei parlare cautamente e saviamente, però che molti sono tenuti amici che in veritade sono nimici. Unde dixe Petro Alifos che tutti quelli che tu non cognosci quasi déi suspicare, cioè che non siano tuoi inimici. Unde dixe: "Non andare con colui che non cognosci per via, e se alcuno che tu non cognosci ti s'acompangnase per la via e dimandasseti la u tu dei andare, dilli che ttu vuoi andare assai più a llunga che ttu non t'ài posto in chuore d’andare, e se elli auesse lancia valli dal lato dricto, e s'elli avesse spada ualli dal lato manco".
<- Anco déi guardare se tu déi parlare a homo savio ud a homo stolto. Però che Salamone dixe: Non déi parlare in dell'orechie de l'homo stolto, però che dispregia la doctrina del parlare tuo. E anco dixe: L’uomo savio, se elli contende co llo stolto, uvero ch'elli rida uvero che s’airi, sempre li farà noia. E anco dixe: "Lo stolto [ f. 52v ] non riceve parole savie, se ttu non di' parole c'a llui appiaciano (sic) e che siano in del cuore suo". E Yhesus Sirac dixe: "Quelli che dice allo stolto parole savie è come quelli che parla a colui che dorme; unde in de la fine del suo detto dirà: che si tuffi (sic)".
<- Anco dei guardare che non parli ad homo che non sia schernitore. Unde si truova scripto: "No avere compangnia con schernitore, ançi fugi la sua compangnia come tosco, però che non ti potrai guardare che non ti inganni e non ti faccia disnore". E Salamone dixe: "Non rispondere allo schernitore, però ch'elli ti ne odierà; ma rispondi lo savio e amerattine". E Seneca dixe che colui che correggie truffadore fae ingiura a sé medesimo; e chi castiga l’uomo malvagio à voglia di fare male a sé stesso".
<- Anco dei guardare che tu non parli con homo lingoso e loquace, cioè con nullo che parli troppo. Però che 'l propheta dixe: "L’uomo lingoso non serà amato sopra terra" E Yhesus Sirac dixe: "Terribile cosa è cio, e è pericolosa, l’uomo lingoso in de la gittà sua. E colui che è isfacciato in de le parole sue serà odiato dalla gente". E anco: "Chi odia la laquacità ditrugge molti mali"; e ancho disse che ll'uomo lingoso non parlerà e non mettrà lengna in del suo fuoco", cioè no' ll' astierà di parlare. Anco dixe: "Co li macti no avere consiglio, però che non puoi loro piacere se nno quello ch'elli no amano".
<- Anco ti guarda che ttu non parli co lli nimici. Unde dixe Tullio: "La religione de li nemici è alpostucto di lasciare"; e vedi che è addire eimicismo (sic): in greco tanto vale a dire quanto in latino cane, unde sono dicti cimici coloro quando uolliono parlare abaiano come cani. De li quali disse Dominedio: "Non gittare le margarite intra porci".
<- Anco déi guardare che ttu non tencioni co li mali homini, cià est co lli malvagi. Però che soncto sancto Agustino dice: "Secondo che 'l fuoco quanto più vi mecti lengna, tanto fae magior fiamma, così lo rio homo quant'elli più ode la cagione, tanto più cresce in de la malitia"; e in della anima maligna non entra savere, secondo che Cato dixe: "Non tencionare co lli homini verbosi, cioè che ànno molte parole, però [ f. 53r ] che la parola è data a tutta gente, ma lo savere dell’animo è dato a pochi".
<- Anco guarda che de li tuoi secreti non parli con homo ebbro, né con femina, però che dixe Salamone che neuna cosa secreta puote durare in loro. E inn'alto (sic) luogo dixe che la garrilità, cioè la egarriçe (sic), non puono durare né celare neuna cosa apo le femine, se nno quello ch'ella non sae.
<- Anco quando tu vuoi dire alcuna cosa, de' guardare chi sono quelli che cti deono intendere, però che ssi truova scripto che ctu déi guardare chi sono quelli in torno, quando tu vuoi dire alcuna cosa, maximamente che non piace ad ogne homo, acciò che non vi n'abia qualcheuno che tti riprenda e dica che ctu abbie mal decto.
<- E certo molti exempli ti potrei ponere ad intendere questa parola ma basstiti queste che decte sono.
<- Come l'uomo dé guardare la cagione in del decto come in del facto.
<- Da qui inanthi ti vollio mostrare che ttu déi intendere per questa parola perché, è a ddire perché cio è per che cagione. Unde tu déi guardare la cagione del decto tuo, secondo che in de li facti è da considerare la cagione. Secondo che dixe Seneca che di ciascuno facto déi dimandare cagione e quando tu se’ in de lo incominciamento déi guardare alla fine, così in de lli decti sempre déi richiedere la g c agione però che neuna cosa si fae sença cagione in questo mondo non si mantiene pero se (sic) fortuiti, cioè per avenimento, secondo che dice Casiodoro, tu non déi dire alcuna cosa sença cagione; e secondo che d'una cosa si truovano i iiij cose, cioè la cagione materiale e lla cagione formale e lla efficiente e lla finale, così in del detto si può trovare queste iiij cagioni. E con ciò sia cosa ch'io t’abbia mostrato guarda la cagione materiale e lla cagione efficiente, però che tt'ò decto che debbie guardare che cosa tu dei dire e chi tu se’ e che vuoi parlare, voglioti mostrare hora aguarda (sic) la cagione finale, cioè a che fine tu déi parlare, e questo intendi per questa parola perché. E dipo' questa ti insengneroe ad guardare a lla cagione formale cioè a llo modo del parlare.
<- Sia dunque la finale cagione del detto tuo, cioè quello che ssi dé seguitare de le tuoi parole, o per servire o per ubedire a Dio, o per utilità de li homini, overo per uttilità d'alcuno tuo amico. In [ f. 53v ] servigio di Dio dei parlare come fanno li frati minori e predicatori e altri religiosi, confortando ciascuna persona che non faccia quello altrui che non vorebbe che fosse facto a llui; che debia fare a ciascuna persona quello che non vorrebbe che fosse facto allui, acciò che possa pervenire all'alegreça di vita etterna. Per alcuno tuo amico spetiale déi parlare sì come fanno li avocati e altri aringatori; e da che tu parli per alcuna uttilitade d'alcuna spetiale persona, sconuenevile serebbe che tti ne seguiti alcuna uttilità. Unde dice Sancto Agustino: "Licita cosa all’avocato di vendere la sua giusta advocatione, e quello che è bene di ragione può vendere lo giusto consiglio".
<- Però guarda se 'l tuo est iusto consiglio e se 'l tuo consiglio, del quale tu déi avere uttilità, è di cosa giusta e bella, overo di cosa soça. Inperò che la legge dice che li soçi guadangni sono d'avere in odio etiamdio da lli homini che sono meno che buoni. E anco dixe Seneca: "Fuggi lo soçço guadangno come d'essere inpeso per la gola". E un altro savio dixe: "Lo guadangno di mala fama, cioè che dispiace a tutta gente è da riputare per danpno". E anco si truova scripto: "Più tosto vorrei avere perduto che soçamente avere guadangnato".
<- Anco de’ essere comodo, cioè moderato, lo tuo guadangno, unde è detto con modo, temperatamente e con modo. Unde Kasseodoro dixe che se 'l comodo passa la misura di quello che è convenevile, non può mai essere decto comodo, cioè guadangno. Dé ess ere anco lo modo in del guadangno tuo naturale e quasi comune, cioè con tua uttilitate e d'altrui, e non co' alcuno danno d'un altro. Unde dice la legge che naturale e giusta cosa è che neuna cosa est (sic) che neuna persona non diventi riccho del danno altrui. E Tullio dixe, ancor più a entro, che né paura, né dolore, né morte, né alcuna altra cosa che possa advenire all’uomo è tanto contro natura quanto è acrescere lo suo comodo dell’altrui comodo, cioè di'arichiredere dell’altrui condanno altrui e maximamente di quello del povero homo. E cio è che disse Kasseodoro: che sopra tutte le crudelità che ssi possano fare è che l’uomo doventi o che voglia diventare riccho de la povertà del mendico.
<- Per comodo ed utilitade de li homini parloro (sic) coloro che feno la legge [ f. 54r ] e che fanno li ordinamenti e lle singniorie de le terre, acciò che ciascuno si conservi in del suo stato; e tu acciò t'isforça qunto tu puoi e tutta fiata con modo e con ragione. E anco più essere la fine in servigio di dio e del homini del mondo, secondo che fanno li preti e li altri cherici se colari e maximamente in servigio di Dio, e ancora per loro uttilitade. Anco non dei dire né fare per l’amico tuo se no cosa iusta e bella. Unde secondo la Regola dell’amore non è scusato da peccato colui che pecca per cagione de ll’amico suo; e se ttu sofferi li peccati dell’amico tuo tu fai lituoi. E anco si suole dire che chi dà aiuto al peccato pecca due fiate, e aparecchiasi di peccare quelli che adiuta lo innocente e maximamente in de la cosa soça. Unde dixe Seneca che in dela cosa soça si può peccare in due modi. Dunque déi difendere l’amico tuo iustamente, acciò che tu se’ tenuto proprio difenditore è quelli che difende iustamente (sic). Secondo che dixe Kasseodoro che proprio difenditore est quelli che difende iustamente. E anco per tutte queste cose cioè per servigio di Dio e per uttilitade delli homini e de li tuoi spetiali amici parla e adopera volentieri, quando tu puoi.
<- E questo ti basti auguale per isponere questa parola perché
<- Del modo del parlare e pronuntiare
<- Voglioti insegnare da qui inançi che tu dei intendere per questa parola come e così arai tutte e iiij le cagioni chessi possono trovare in ciascuna cosa. E dicoti questa parola come singnifica lo modo. Adonqua tu dei guardare lo modo del parlare tuo però che secondo che in dele cose è da obseruare modo, del quale è usato di dire: lo modo in tutte le cose e infine sono tutti certi, oltra li quali né infra li quali no è neuna cosa dricta, così in ne li decti, se tu non ài modo, non potrai dire cosa che ssia buona. Unde dixe Kasseodoro: "Lo modo è da lodare in ongna luogo". Sia dunque lo modo e 'l parlare tuo in cinque modi, cioè in del pronuntiamento e in de la belleça de le parole, e sia in della racteça, uvero affrecteça, e sia nella tardeça e nella quantitade e ne la qualitade.
<- Vegiamo dunqua che è a ddire pronuntiatione: e dico che pronuntiatione è manifestamento dell’animo con parole, secondo che ssi conviene alle cose de le quali [ f. 54v ] tu parli e che dilettino coloro che t’odono, secondo che dixe Marco Tulio che parlare non troppo savio, s'elli è acconciamente facto, disconciamente è dispregiato e factone beffe (sic) è molto lodato, e avengna che ssia bella e polita, s'elli è facto disconciamente è dispregiato e factone beffe. Donque nel pronuntiamento tuo dei observare e avere temperança di voce e di spirito, e in del movimento del corpo e della lingua; déi molto considerare e discacciare da te tutti vitij de la bocha, se vi n’ài, acciò che le parole tue non siano enfiate né gorgotose in de la gola e non sia la voce tua ismanevile né avvilupata infra li decti, e non sia facto con grande aprimento di labra e discoprimento di denti, ma sia spessa (sic) egualmente e lievemente e chiaramente decta, sì che ciascuna lectera e ciascuna parola sia decta col suo suono, sença alcuno clamore e grida, e distendimento di collo non sia pendicollo (sic) lo parlare tuo.
<- Anco déi considerare in del parlar tuo, cioè in dell’arringamento che tti convenisse alcuna fiata fare in consiglio u inançi a grande singnore, lo luogo e lla cosa e lla cagione e 'l tenpo: però che altre parole sono che ssi deono dire con sinplicitade, e tale si convengnono affermare di dire per decto di savio homo, e tale si convengnono affermare in dire co' indengnatione e ira, e tale che si convegnono dire co’ humilitade; e chosì lo decto tuo senpre déi rispondere alla cagione sua. E déi tenere la testa e la faccia tua dricta e piacevile, non torciendoti ne le latora, non spiacendo la bocha, non tenendo lo volto riuerscio, no levando le cillia in alto, però che neuna cosa che non si conviene non può piacere. Unde dixe Tullio che dal capo si tragge quello che fare si conviene. Ancor leccare le labra né mordelle no è bella cosa a quelli che vuole piacere in del parlare. E quando tu ài a dire grandi cose de'le dire grandemente e vigorosamente. E quando ài a ddire picciole cose de'le dire pianamente e agevilemente, secondo che ssi conviene; però che in de le piccole cose no è a ddire neuna cosa troppo grande né troppo meravigliosa, ma in de le cose grandi, secondo che quando l'uomo parla di Dio e de la salute de li homini, déi parlare con grandi meraviglie e con grande mangnificença e con grande prudença; in de le cose temperate, secondo che quando l’uomo parla solamente acciò ch'eli dilecti alliu [ f. 55r ] ditori, déi parlare meçanamente. E alcuna fiata chell’uomo parla d'ongna cosa e non si conviene di parlare troppo grandissimamente.
<- E però se avenisse che ttu dovessi lodare alcuna persona u vitoperare, temperatamente die. Però che dixe Seneca in De la forma dell’onesta vita: "Loda pogo e vitopra". E altresì da riprehendere lo troppo lodare come lo troppo vituprare, lo tropo si adpertiene a malvagitade. E non déi lodare neuna persona in sua presença, unde si truova scripto che né lodare, né fare danpno altrui, non déi fare in sua presença.
<- Anco déi considerare e avere modo di parlare avaccio e lento secondo che ssi conviene, e altramente in del parlare che in fare altre cose, però che non déi essere veloce in del parlare, cioè frectoloso e frummioso, ançi lento convenevile. Unde dixe beato Paulo apostolo in de la epistola sua: "Veloce a udire e tardi a parlare e tardi ad ira". Unde dimorare e pensare in de le cose no è male. Unde è usato di dire: "Ongna dimorança è tenuta in odio ma fa l'uomo savio". Anco in de li consiglij déi avere tardeça e non frecta. Unde si truoua scripto che chi dae consigli, quello che molto si ragiona e si pensa è più dricto, però che chi dae u riceve e ad frecta bisongna che poi sine penta. E anco si dice: "Tre cose sono contrario al consiglio frecta ira cupidità, cioè disiderio di guadagnare". Ma quando tu vuoi fare la cosa, e poi che tu arai sopra diliberato e pensato, spiliatamente déi fare. Unde dixe Seneca in de le Epistole: "Meno odi (sic) e più fae e per lungo tempo pensa e fae tostamente", però che lla tosteça fae la cosa gratiosa. E dixe Salamone: L’uomo che è veloce e spilliato in tutte le suoi cose strà dinançi da li rei e non co' lli villani". E guarda che ttu non sie v o e loce che quello che ctu déi fare fine (sic) possa inpedire.
<- E ancho déi guardare che lo tuo parlare non sia troppo grande quantitade, però che lo molto parlare non è sença peccato. E Salamone dixe nel Ecclestiaco che dipo' molti pensieri si seguita senno e dipo' molto parlare si truova stolteça. E Seneca dixe che neuna cosa è che tanto faccia prode e uttilitade come lo pogo parlare altrui. E Socrate dixe: "Tu potrai a tutta gente piacere se tu farai buone cose e parlerai pogho". Anco déi avere modo in de la qualità del parlare, ciò est in ben dire. Unde si truova scripto che in del principio de l’amistade è lo bene parlare e llo principio de la [ f. 55v ] nimistade è lo male parlare. E déi dire parole allegre e honeste e lucide e comunali e savie con piana boccha e cheto uolto, e non con riso né con grida. Unde dixe Salamone che parole composte e savie e ben dite sono piene di mele e dolceça d’animo e santà dell’ossa.
<- E questo ti basti sopra questa parola come.
<- Quando la parola porta tempo
<- Rimane da qui inançi ad insengnare che tu déi intendere per questa parola quando. E déi sapere che questa parola quando porta tempo. E però diligentemente déi guardare lo tempo e l’ordine del tuo parlare. Unde dixe Yhesus Sirac: "Lo savio homo strae cheto infine a bbuono peço, ma l’uomo lascivo, cioè vago e macto, non cura di tempo". Considera dunqua lo tempo di parlare, a ciò che ssi seguiti la paraula di Salamone che dixe: "Lo tempo di parlare e di tacere è grande temperamento in del parlare". Abbie dunque silenço in te, cioè che tacci infine a tanto che tu vedi che tte mistieri di parlare.
<- E non solamente déi observare silenço tu, ma etiamdio déi aspettare lo silenço d’un altro. Déi dunque aspettare tempo di parlare infine a tanto che tu vedi che ttu sie udito. Però che dixe Yhesus Sirac che colà u no è udito l’uomo no è da fare sermone e è increscevile homo non ti tiene buono di tuo savere che è increscevile e lla parola tua quando tu non se’ udito è così come colui che suona la viuola infra coloro che piangeno. E anco colui che parla a coloro che no l’odono è come colui che parla a colui che dorme.
<- E non solamente déi considerare tempo quando tu parli altrui, ma etiamdio quando tu rispondi altrui. Unde si truova scripto: "Sì non t’afrectare di rispondere infine a tanto che colui che parla no àe compiuto di dire". Unde dixe Salamone che colui che risponde infine ch’elli no àe udito si mostra d’essere stolto e d’essere degno di confusione. E similliantemente quelli che parla ançi che elli inprenda affrectasi e dimentica quello che s’avea posto in cuore di dire, secondo che dixe Yhesus Sirac: "Quando tu vuoi dire considera in fra te medesimo dei richiedere tempo e ordine in tutte le parole e in tutto lo parlare tuo sì che quello che ctu vuoi dire inançi che tu lo diche emendi possa (sic), e cquello che [ f. 56r ] tu déi dire di poi, sì lo di’ poi e no inançi, e quello di meço in meço, però che se tu déi predicare tu déi dire in prima la storia e possa l’alegoria, cioè quello chessi intende per la storia, e poi la tropologia.
<- E se ctu volessi parlare per epistola, cioè per alcuna lectera che ttu mandassi, in prima dei ponere la salutatione e poi lo exordio, cioè alcuna similitudine, e poi la narratione, cioè quello che ttu vuoi dire in dimandando, e lla petitione, cioè quello che ttu vuoi altrui dimandare, e poi la conclusione, cioè ponere fine al decto tuo. E se ttu volessi parlare in parlamento, overo in anbasciata, in prima, secondo lo tempo e secondo lo luogo, déi dire la salutatione e poi déi lodare coloro a cui tu porti l’anbasciata e poi lodare li compangni tuoi e poi dire quello che tte posto in inbasciata e poi déi pregare che lla inbasciata tua sia menata a compimento e poi déi dire lo modo secondo lo quale tu dimandi e poi de’ dire e pregare lo iscempicamento (sic) de la tua inbasciata.
<- E déi fare a simigliança dell’angelo Gabriello, quand’elli fue mandato da Dio alla beata Vergine Maria, lo quale in prima puose la salutatione quand’elli dixe: "Ave Maria", cioè benedecta si’ tu Maria, e possa la lodoe e dixe: "Gratia plena", cioè piena d’ongne gratia, e "Dominedio è con teco e benedecto lo fructo del ventre tuo"; e confortolla e dixe: "Non temere Maria ché trovato ài gratia appo Dio". E vede che possa inançi confortatione che è la narratione, però che la beata Vergine Maria n’ebbe avenimento in de la salutatione de l’angelo ebbe come paura. Quanto possa l’anuntiatione e dixe: "Tu diventrai gravida e arai figluolo". E quanto puose la spreçione del modo: "Lo Spirito Sancto verrà in te". E sexto puose lo exemplo e dixe: "Elisabet, la tua cungnata, ebbe figluolo in sua vecchieça"; sectimo asengnoe sufficiente ragione a tutte queste cose e dixe: "Però che no è impossibile appo Dio ongna paraula". E se ttu vorrai tractare di legge u decretale, in prima proporrai la lectera, e poi lo caso, e possa la spositione de la lectera, e poi li exempli e lle concordanze, e poi la contrarietà, e poi la solutione; e così di ciascuna sciença, secondo che ssi conviene.
<- E questi poghi exenpli ti bastino per questa parola [ f. 56v ] quando. E tu medesimo, co llo ingegno e co llo savere che Dio t'à dato, t’isforça di trovare e di giungere sopra ciascuna parola di questo verso, secondo che sopra l’abeccedario tutte le sciençe si volueno così sopra questo verso si può riferire e compensare cioe che ssi dice e che ssi fae. Bastiti dunqua questa doctrina sopra lo parlare e sopra lo tacere, la quale est compresa in questo verso e ad te e a lli fratelli tuoi che sono lecterati, però che la vita de li lecterati è più in del dire che in del fare. Unde Seneca dixe che all’uomo licterato non si conviene avere molte facende, né operare molte cose. E se ttu vuoi avere doctrina e amaestramento del fare, come tu ài avuto del parlare, tra' che di questo verso questa parola dire, in suo luogo pune questa parola fare, così e dica sì: "Chi tu se’, e che cosa, e a cui tu dire vuoi e fare, perché, e come, e quando tu déi dimandare".
<- E così tutto ciò che io t’ò decto potrai aconciare ad questo, verso molto più. E però ti prego che ctu in de le parole ch’io t’ò detto ti debbi exercitare e affatigare e studiare sopra ene; però che llo studio adiuta lo ingengno e vince spesse fiate la natura, e uso valica ongna comandamento di maestro, e così serai ardito maestro di parlare e di tacere e di fare. E prega Dio che m’à dato gratia di potere dire queste cose che ne conduchi alla gratia di vita etterna per infinita secula seculorum amen.
<- Explicit liber Albertani Judicis. Deo Gratias. Amen.

Comites Latentes 112

<- [ f. 1r ] verace: "Guardati una fiata dal nimico tuo et mille fiate dagli amici tuoi, perciò che quei ch’è amico alcuna fiata si fa nimico, et così pió tosto ti potrebbe far danno".
<- Et dicoti così, che se tu ài alcuna tua cosa secreta, de la quale tu non vogli et non possi aver consiglio, che tu la debbi tenere et non manifestare ad alcuno. Unde disse Giovan Sirac: "A l’amico, né al nimico non déi manifestare tutte le tue secrete cose et maximamente li peccati et le malvagità tue; perciò che t’odierà et aguardandoti, quasi doffendendoti, farà beffe di te". Et un altro disse: "Quello che tu vuoli che sia secreto nol dire ad alcuno". Et un altro disse: "Appena che tu possi trovare un omo che possa tenere celato una cosa secreta". Et un altro disse: "Lo secreto e lo consiglio et le secrete cose tue tienele rinchiuse, secondo che in de la pregione tua, perciò che quando tu l’arai manifestate, elli terrà legato te in de la pregione sua". Et un altro disse: "Quelli che tiene lo consiglio suo in del cuor suo è signore di sé et di prendere la migliore parte" et pió sigura cosa è a stare cheto, che pregare un altro che stia cheto. Et di ciò disse Seneca buona paraula. Disse: "Se tu non strai cheto, tu come comandi ad un altro che stia cheto?" et se tu arai alcuna tua faccenda secreta, de la quale tu vuoli avere consiglio, déila manifestare al pió fedele [ f. 1v ] et al pió privado amico che tu ài". Unde disse Salamone che l’omo dé avere molti amici, ma consiglieri et consigliatori dé avere uno infra mille. Et Cato disse: "Lo secreto consiglio déi dire al fedele amico, et la infertà del corpo déi dire al fedel medico", et al nimico tuo non déi molto parlare, né manifestare alcuna tua cosa privada. Et ciò è che dice Isopo: "Non affidare et non manifestare alcuna tua cosa privada ad cului con cui tu ài conbattuto".
<- Et in un altro luogo disse: "Non aver fede, né speransa in del nimico tuo", et questo déi intendere etiamdio poi ch'elli avesse fatto pace non teco. Inperciò che si trova scripto che neuno può avere perfectamente la gratia del nimico suo, perciò che li vapori dell’odio sempre rimangnano del nimico. Unde dice Seneca: "Culà u sta lungamente lo fuoco non può esser mai sensa fummo". Et anchor disse: "Meglio è che altri muoia per l’amico suo, che viva col suo nimico ch’è stato anticamente tuo nimico non credere in perpetua, et s’elli ti si ahumiliasse et inchinasseti ancho, no lli credere", perciò ch’elli lo fa per la sua utilità et non per amistà, acciò ch’elli ti vuole prendere et ingannare per amore et per lusinghe, quando non ti può ingannare per forsa. Et Salamone disse che dinansi [ f. 2r ] da te lagrimerà lo nimico tuo et, se elli vederà tempo, non si potrà satiare del tuo sangue. Et Petro Alifonso disse: "Non t’acompagnare co’ li nimici tuoi, con ciò sia cosa che tu possi avere molti altri compagni, perciò che quelle cose rie che tu farai, tutte le terrano ad mente et le buone tutte dimenticrano". Et generalmente ti dico che tu con tutta gente déi parlare cautamente et saviamente, perciò che molti son tenuti amici che in verità sono nimici. Unde dice Petro Alifonso che tutti quelli che tu non cognosci quasi déi sospicare, cioè che non siano tuoi nimici. Unde disse: "Non andare per via con neuno che tu innansi non cognoschi. Et se alcuno ti si acompagna che tu non cognoschi in de la via, et dimandati u tu vai, dilli che tu vogli andare assai pió a llunga che tu non t’ài posto in cuore; et s’elli à lancia vagli dal lato diritto et s’elli à spada vagli dal lato sinistro".
<- Ancho déi guardare se tu vuoli parlare ad un omo savio u a stolto. Perciò che Salamon disse che tu non déi parlare in de l’orecchio de lo stolto, perciò che dispregia la dottrina tua. Et ancho disse : "L’omo savio, s’elli combatte co’ lo stolto, uvero che richieda uver che s’adiri, sempre li farà noia". Et ancho disse: "Lo stolto non riceve paraule savie, se [ f. 2v ] tu no lli dici paraule che li piacciano et che sono in del cuor suo". Et Giovan Sirac disse: "Quelli che dice a lo stolto savie paraule è come quelli che parla con cului che dorme; unde in de la fine del suo detto dirà: chi se’ tu?".
<- Ancho déi guardare che tu non parli con neun omo schernidore. Unde si trova scripto: "Non avere compagnia con ischernidori, ansi fugge la loro compagnia come `l tosco, perciò che non ti potrai guardare che e’ non ti inganni et non ti faccia disnore". Et Salamone disse: "Non riprendere lo schernidore, perciò che te n’odierà; ma riprende lo savio et ameratene". Et Seneca disse: "Cului che corregge lo truffadore fa ingiuria a sé medesmo; et chi castica l’omo malvagio à voglia di far male ad sé medesmo".
<- Ancho déi guardare che non parli con neuno lingoso et loquace, cioè con neuno che parli troppo. Perciò che `l Profeta disse: "L’omo lingoso non serà amato sopra terra". Et Giovan Sirac disse: "Terribile cosa è, cioè periculosa, l’omo lingoso in de la cità sua. Et cului ch’è sfacciato in de le paraule sue sarà odiato da la gente". Et ancho: "Chi odia la loquacità distrugge molti mali"; et ancho disse: "Coll’omo lingoso non parlare et non mettere legna in del suo fuocho", cioè [ f. 3r ] non l’adastiare di paraule. Et ancho disse: "Co’ li matti non aver consiglio, perciò che no lli può piacere se non quello ch’elli ammano".
<- Ancho ti déi guardare che tu non parli co’ li cien . Unde dice Tullio: "La ragione dei ci en è a ppostutto da lassare"; et vede che è a ddire ci en : cimnos in greco tanto vale quanto in latino cane, unde sono detti ci en coloro che quando vogliano parlare latrano come cani. Dei quali disse Domeneddio: "Non gittare le margarite tra li porci".
<- Ancho déi guardare che tu non tencioni co’ li malivoli, cioè co’ li malvagi homini. Perciò che santo Augustino dice: "Secondo che `l fuocho quanto pió vi metti entro legna, tanto fa maggior fiamma, così lo mal omo quanto elli pió ode la ragione, tanto pió cresce in de la malitia"; et in dell’anima malivola non entra savere, secondo che Cristo disse: "Non tencionare di paraule con coloro che sono verbosi, cioè ch’àno molte paraule, perciò che la paraula è data ad tutta gente; ma lo savere dell’animo è dato a ppochi".
<- Ancho guarda che di tuoi secreti non parli conne uomo ebrioso né con femina perciò che disse Salamone che neuna cosa secreta puote dimorare in loro. Et in un altro luogo disse: "La garrulità, cioè le garrisse de le femine, non può celare [ f. 3v ] neuna cosa, se non quel che non sa".
<- Ancho, quando tu vuoi dire alcuna cosa, déi guardare chi son coloro che ti debbiano intendere, perciò che si trova scripto che tu ti déi guardare dintorno quando tu vuoi dire alcuna cosa, maximamente che non piaccia forse agli omini, acciò che non ve n’abbia forse qualcheuno che ti riprenda et dica che tu abbi mal detto.
<- Et certo molti exempli ti potrei ponere ad intendere questa paraula ad cui; ma vastino questi che detti sono.
<- Come homo dé guardare la cagione in dei detti come in dei fatti
<- Ugiumai ti voglio mostrare che tu déi intendere per questa paraula perché, et è a ddire perché, cioè per che ragione. Unde tu déi guardare la cagione del detto tuo, secondo che in dei facti è da considerare la cagione. Secondo che dice Seneca che di ciascheduno fatto déi addimandare cagione et quando tu se’ in del cuminciamento déi guardare a la fine, così in dei detti sempre déi richiedere la cagione: perciò che secondo che neuna cosa si fa sensa cagione, né `l mondo non si mantiene per casi fortuiti, cioè per advenimenti, secondo che dice Cassiodero, così tu non déi dire alcuna cosa sensa cagione; et secondo che in una cosa si [ f. 4r ] trova quattro cause, cioè la cagione materiale et la cagione formale et la efficiente et la finale, cusì in del ditto si possono trovare queste quattro cagione. Et con ciò sia cosa ch’io t’abbia mostrato aguarda la cagione materiale e la cagione efficiente, perciò ch’i’ t’ò detto che tu déi guardare che cosa tu déi dire et chi tu se’ che tu vuoi parlare, voglioti mostrare ora a la cagione finale, cioè ad che fine tu déi parlare, et questo intende per questa paraula perché. Et dipo’ questa t’insegnerò a guardare a la cagione formale, cioè al modo del parlare.
<- Sia dumqua la final cagione del detto tuo, cioè quel che si de’ seguitare de le tue paraule, u per servire et per obbedire a dDio, u per utilità degli omini, uvero per utilità d’alcuno tuo amico. In servigio di Dio déi parlare secondo che fanno li frati predicatori et li minori et altri religiosi, confortando ciascheun omo che non debbia fare quello altrui che non vollesse che fusse fatto a llui; et che elli debbia fare a cciascheuna persona quello che vollesse che fusse fatto ad sé, acciò che possa pervenire a l’allegresse di vita eterna. Per alcuno tuo speciale amico déi parlare secondo che fanno li advocati et altri arringatori; et da che tu parli [ f. 4v ] per utilità d’alcuna special persona, non è sconvenevile che te se ne seguiti speciale utilità. Unde dice santo Augustino: "Licita cosa è a l’advocato di vendere la sua giusta advocatione, et quelli ch’è bene dotto di ragione può vendere lo giusto consiglio".
<- Et perciò guarda se `l tuo è giusto consiglio et se `l tuo consiglio, del qual tu déi aver utilità, è di cosa giusta et bella uvero di cosa sossa. Imperciò che la legge dice che lli sossi guadagni sono d’avere in odio etiamdio dagli omini che sono meno che buoni. Et Seneca disse: "Fugge lo sosso guadagno come d’essere appeso per la gola". Et un altro disse: "Lo guadagno di mala fama, cioè che dispiace ad tutta u ad maggior parte de la gente, è da reputare per danno". Et ancho si trova scripto: "Pió tosto vorrei aver perduto che sossamente guadagnato".
<- Ancho dé essere lo comodo, cioè lo guadagno tuo, moderato, unde è detto comodo, cioè con modo. Unde disse Cassiodero che se `l comodo passa la misura di quello ch’è convenevile, non può mai essere detto comodo, cioè guadagno. Dé ancho essere lo comodo e `l guadagno tuo naturale et quasi comune, cioè con tua giustitia et d’altrui, et non con danno d’alcuno altro. Unde dice la legge che [ f. 5r ] naturale et giusta cosa è che neuna persona non diventi riccho del danno altrui. Et Tullio disse che né paura, né dolore, né morte, né alcuna altra cosa che possa advenire all’omo è tanto contra natura quant’è accrescere lo suo comodo dell’altrui comodo, cioè arricchire dell’altrui con danno altrui et maximamente di quello del povero homo. Et ciò è che disse Cassiodero: che sopra tutte le crudelità che si possa fare è che l’omo diventi u voglia diventare richo de la povertà del mendico.
<- Per comodo et de le utilità degli omini parlaro coloro che feno le legge et color che fanno li constituti et gli ordinamenti et le signorie de le terre, acciò che ciascheduno si conservi in del suo stato; et tu a cciò ti sforsa quanto puoi et tutta fiata con modo et con ragione. Et ancho può esser lo fine in servigio di dDio et de gli omini del mondo, secondo che fanno li preiti et gli altri clerici scolari et maximamente in servigio di dDio et ancho per loro utilità. Ancho non déi dire né fare per l’amico tuo se non cosa giusta et bella. Unde secondo la Regula de l’amore non è scusato da peccato cului che pecca per cagione de l’amico suo; et se tu sofferi li peccati del tuo amico, tu faili tuoi. Et ancho si vuole dire [ f. 5v ] che chi dà adiuto al peccato, pecca duo fiata; et apparecchiasi di peccare quelli ch’aiuta lo nocente et maximamente in de la cosa sossa. Unde disse Seneca che in de la cosa sossa si può peccare in duo modi. Dumqua déi difendere l’amico tuo giustamente, acciò che tu si’ tenuto proprio difenditore. Secondo che disse Cassiodero che proprio difenditore è quelli che difende giustamente. Et ancho per tutte queste cose, cioè per servigio di dDio et per utilità degli omini et di tuoi speciali amici, parla et adopera voluntieri, quando tu puoi.
<- Et questo ti vasti aguale per exponere questa paraula: perché.
<- Del modo del parlare et del pronuntiare
<- Et voglioti insegnare da qui innanti che tu déi intendere per questa paraula come, et così averai ad te tutte et quattro le cagione che si possano trovare in ciascheuna cosa. Et dicoti che questa paraula come significa modo. Dumqua tu déi guardare modo de lo parlare tuo, perciò che, secondo che in de le cose è da osservare modo, del quale è usato a ddire: e lo modo è in tutte le cose et infine son tutti diritti, oltra li quali né infra i quali non è neu [ f. 6r ] na cosa diritta, così in dei detti, se tu non ài modo, non potrai dire cosa che buona sia. Unde disse Cassiodero: "Lo modo è da lodare in ogna luogo". Sia dumqua el modo et lo tuo parlare in cinque cose, cioè in del pronuntiare, cioè in de la bellessa de le paraule, et sia in de la rattessa, uvero in de la frettessa, et sia in de la tardessa et in de la quantità et in de la qualità.
<- Veggiamo dumqua che è a ddire pronuntiatione: et dico che pronuntiatione è manifestamento dell’animo con paraule, secondo che si conviene a le cose de le quale tu parli et che deletti coloro che ogiono, secondo che disse Tullio che parlare non troppo savio, se elli è acconciamente fatto, è molto lodato, et advegna che ella sia bella et pulita, se elli et (sic) fatto disconciamente è dispregiato et fattone beffe. Dumqua in del pronuntiamento tuo déi observare et avere temperansa di voce et di spirito, et in del movimento del corpo et de la lingua; déi molto considerare et discacciare da te tutti vitii de la bocca, se ve n’ài, acciò che le paraule tue non siano infiate, né gorgottante in de la gola et non sia la voce tua smanievile, né advoluppata [ f. 6v ] infra li denti, ma sia expressa aigualmente et lievemente et chiaramente detta, sì che ciascheuna lettera, ciascheuna paraula sia detta col suo suono, sansa ogna clamore et grido, acciò che per le molte grande grida et distendimento di collo non sia inpedito lo tuo parlare.
<- Ancho déi considerare in del parlar tuo, cioè in dell’arringamento che ti convennisse fare alcuna fiata in consiglio u dinanti ad gran signore, lo luogo et la cosa et la cagione e `l tempo: perciò che altre paraule sono che si déno dire con simplicità, et tale si convegnano affermare per detto di savio homo, et tai si convegnano dire con indignatione et ira, et tai che si convegnano dire con humilità; et così lo detto tuo sempre di rispondere a la cagion sua. Et déi tenere la faccia e la testa tua diritta et piacevile, non torcendoti in de le latora, non espiciando la bocca, non tenendo lo volto rivolto, non volvendo gli occhi ad terra et ad cielo, né col capo chinato, né levando le ciglia ad alto, perciò che neuna cosa che non si conviene non può piacere. Unde disse Tullio che capo d’arte è fare quello che si conviene. Anco leccare li labbri u morderli non è [ f. 7r ] bella cosa. Et quelli che vuole piacere in del parlare, et quando tu ài a ddir gran cose, déile dire grandemente et vigorosamente. Et quando ài a ddire picciule cose, déile dire pianamente et agevilemente, secondo che si conviene; perciò che in de le picciule cose non è a ddire neuna cosa troppo grande né troppo meravigliose, ma in de le gran cose, secondo che quando l’omo parla di dDio et de la salute de gli omini, déi parlare con grande meraviglie, con grande magnificentia et con grande potentia; et in de le cose temperate, secondo che quando l’omo parla solamente acciò che deletti gli oditori, déi parlare meççanamente. Et alcuna fiata che l’omo parla di gran cose, et non si conviene di parlare troppo grandissimamente.
<- Et perciò se t’avenisse che tu dovessi lodare alcuna persona u vitoperare, dillo temperatamente. Perciò che Seneca disse in De la forma de l’onesta vita: "Loda pogo et vitopera meno". Et è altressì da riprendere lo troppo lodare come `l troppo biasmare, perciò che `l troppo lodare si pertiene a llusinghe e lo troppo vitoperare si pertiene ad malvagità. Et non déi lodare neuna persona in sua presentia, unde si trova scripto che lodare né fare danno altrui [ f. 7v ] déi in sua presentia.
<- Ancho déi considerare et aver modo di parlare avaccio et lento secondo che si conviene, et altramente in del parlare che in fare l’altre cose, perciò che non déi essere veloce in del parlare, cioè frettuloso et frummioso et ansi lento secondo `l modo convenevile. Unde dice beato Jacobo in de la Pistola sua: "Ad udire et tardo ad parlare et tardo ad ira". Unde dimorare et pensare in de le cose non è male. Unde è usato di dire: "Ogna dimoransa è tenuta inn-odio, ma fa l’omo savio". Et ancho in dei consigli déi avere tardessa et non fretta. Unde si trova scripto che dei consigli quello che molto si ragiona et si pensa è pió diritto, perciò che chi dà u riceve a ffretta, bisogno è che possa se ne penta. Et ancho si dice: "Tre cose sono contrarie al consiglio: fretta, ira et cupidità, cioè desiderio di guadagnare". Ma quando tu vuoi fare la cosa, et poi che tu averai sopra deliberato et pensato, spigliatamente déi fare. Unde disse Seneca in de le Pistole: "Meno di’ et fa pió et per lungo tempo pensa et fa tostamente", perciò che la tostessa fa la cosa gratiosa. Et Salamone disse: "L’omo ch’è veloce et spigliato [ f. 8r ] in tutte le suoie opere starà dinansi dai re et none starà co’ li villani". Et tutta fiata ti guarda che tu non sii sì veloce che quello che tu déi fare se ne possa inpedire.
<- Ancho déi guardare che `l tuo parlare non sia molto in quantità, che perciò che molto parlare non è sensa peccato. Et Salamone disse in de lo Ecclesiastico che dipo’ molti pensieri si seguita senno et dipo’ molto parlare si trova stoltessa. Et Seneca disse: "Neuna cosa è che tanto pro et utilità faccia altrui come `l pogo parlare". Et Socrate disse: "Tu potrai ad tutta gente piacere se tu farai buone cose et parlerai pogo". Ancho déi avere modo in de la qualità del parlare, cioè in bene dire. Unde si trova scripto che principio de la amistà è bene parlare, et male parlare è nascimento di nimistà. Et déi dire paraule allegre et honeste et lucide et comunale et savie con piana bocca et cheto volto, non con riso, né con grida. Unde disse Salamone che paraule composte, cioè savie et ben dette, son fiadoni di mele et dolcessa d’animo et sanità dell’ossa.
<- Et questo ti vasti sopra questa paraula come.
<- Quando la paraula inporta tempo
<- [ f. 8v ] Rimane a `nsegnarti che tu déi intendere per questa paraula quando. Et di sapere quando importa tempo. Et perciò diligentemente déi guardare lo tempo et l’ordine del tuo parlare. Unde disse Giovan Sirac: "Lo savio homo strà cheto fine a bbuono pesso, ma l’omo lascivio, cioè vago et matto, non cura di tempo". Considera dumqua lo tempo di parlare, acciò che si seguiti la paraula di Salamone che disse: "Lo tempo di parlare et di tacere è grande temperamento di parlare". Abbi dumqua in te silentio, cioè chietessa, fineattanto che t’è mistieri di parlare.
<- Et non solamente déi osservare silentio tu, ma etiamdio déi aspectare lo silentio d’un altro. Dumqua aspecta tempo di parlare fineattanto che tu vedi che tu sii udito. Perciò che disse Giovan Sirac che colà u’ non è altri udito, non è da fare sermone et increscevile non ti tenere buono di tuo savere, che increscevile è la paraula tua quando tu non se’ udito. Et se’ chome quelli che suona la viola infra coloro che piangeno, et cului che parla ad coloro che non l’odeno, et come cului che parla ad cului che dorme.
<- Et non solamente déi considerare tempo quando tu [ f. 9r ] parli altrui, ma etiamdio quando tu rispondi altrui. Unde si trova scripto: "Non t’affrettare di rispondere fine ad tanto che quelli che dice non à compiuto di dire". Unde dice Salamone che quelli che risponde innansi ch’elli ogia si mostra d’essere stolto et d’essere degno di confusione. Et simigliantemente quelli che parla inanti ch’elli appari affrettasi d’essere tenuto ad vile et d’essere schernito. Unde disse Giovan Sirac: "Innansi che tu giudichi guarda a la giustitia, et innansi che tu parli inpara". Déi dumqua richiedere lo tempo et l’ordine in tutte le cose et in tutto `l parlar tuo, sì che quello che tu déi dire innansi, che tu lo dichi innansi et non dire possa, et quello che tu déi dire dipossa dichil dipossa et non innansi, et quello di meçço, in meçço, perciò che se tu déi innansi dire la storia, cioè quello che si intende per la storia, et poi la tropologia.
<- Et se tu vollessi parlare per pistola, cioè per alcuna lettera che tu mandassi, in prima déi ponere la salutatione, et poi la narratione, cioè quello che tu mandrai a ddire, et poi la petitione, cioè se tu vuoi addimandare alcuna cosa, et poi la conclusione, cioè 'mponere fine al detto tuo. Et se tu vollessi parlare [ f. 9v ] in parlamento uvero in imbasciate, in prima, secondo `l tempo et secondo `l luogo, déi dire la salutatione, et poi déi lodare coloro ad cui tu porti l’ambasciata, et poi lodare li compagni tuoi, poi de’ dire et narrare quello che t’è posto in imbasciata, et poi déi pregare che l’ambasciata tua sia menata ad compimento, et poi déi dire lo modo secondo `l quale quel che tu addimandi si può fare, et déi ponere exempli de le cose simigliante, et poi assegnare sufficiente ragione ad tutte queste cose.
<- Et questo farai ad simigliansa dell’angelo Gabriel, quando elli fu mandato da dDio a la beata vergine Maria, lo quale in prima puose la salutatione quando elli disse: "Ave, Maria, cioè benedetta si’ tu Maria; et possa la lodò et disse: "Gratia plena", cioè piena d’ogna gratia; "Dommeneddio è con teco et benedetto `l fructo del ventre tuo"; et la confortò et disse: "Non temere Maria che trovato ài gratia appo Dio". Et vede che puose innansi la confortatione che la narratione, perciò che la beata vergine Maria ne l’advenimento et in del salutare dell’angelo ebbe come paura. Et quarto puose l’anuntiatione et disse: "Tu di [ f. 10r ] venterai gravida et averai figliuolo". Et quinto puose la `spressione del modo: "Lo Spirito Santo verrà in te et la virtù de l’Altissimo dimorrà in te". Et sexto puose l’exemplo et disse: "Elisabeth, tua cognata, ebbe figliuolo in sua vecchiessa"; e se tu non assegni sufficiente causa et ragione. Et ad tutte queste cose ei disse: "Perciò che non è inpossibile appo Dio ogna paraula". Et se tu vorrai trattare di legge u di dicretali, in prima porrai la lettera et poi lo caso, et possa la spositione de la lettera, et poi gli exempli de le concordanse, et possa le contrarietà, et poi le solutione; et così di ciascheuna scientia secondo che si conviene.
<- Et questi poghi exempli ti vastino ad sapere questa paraula quando. Et tu medesmo, co’ lo `ngegno et col savere che Dio t’à prestato, ti sforsa di trovare et d’agiungere sopra ciaschuna paraula di questo verso, che, secondo che sopra l’abecedario tutte le scientie si volveno, così sopra questo verso si può riferire et conpensare ciò che si dice et che si fa. Vastiti dumqua questa doctrina sopra lo parlare et sopra lo tacere, la quale è compresa in questo verso et ad te et a li frati tuoi che so [ f. 10v ] no litterati, perciò che la vita dei litterati è pió in del dire che in del fare. Unde disse Seneca: "All’omo litterato non si conviene avere molte faccende et operare molte forse". Et se tu vuoi avere doctrina et admaiestramento del fare come tu ài avuto del parlare, tragge di questo verso questa paraula dire et in suo luogo pone questa paraula fare, et di’ così: "Chi tu se’ et che cosa et ad cui tu vuoi fare, perchè et come et quando déi addimandare".
<- Et così ciò che io t’ò detto potrai adconciare ad questo verso, et molto pio. Et perciò ti prego che in de le paraule ch’i’ t’ò dette, ti debbi exercitare et affatigare et studiare sopr’esse; perciò che lo studio adiuta lo `ngegno et vince spesse fiate la natura, et l’uso valica ogna comandamento di maiestro, et così serai ardito maiestro di parlare et di tacere et di fare. Et prega Dio che m’à dato gratia di poterti dir queste paraule, che n e conduca a l’allegresse di vita eterna. Amen.
<- Qui è compiuto lo libro de la doctrina del parlare et del tacere, fatto d’Albertano giudice et advocato di legge de la cità di Brescia de la contrada di Santa Agatha, translatato et volga [ f. 11r ] riççato da Andrea da Grossseto in de la cità di Parigio.