->
[
f. 3r
]
Come homo debbia domare la lingua sua.
->
A lo ncomiçamento et al meço et alla fine del mio trattato sia
presente la gra
cçia
del sainto spirito.
->
Inperciò che molti errano nel parlare et non è nessuno che
compiutamente possa domare la lingua sua, secondo che dice beato Iacopo, el qual
disse: "la natura dele bestie et di' serpenti et dell'ucelli et di tutte l'altre
cose è domata de la natura dell'uomo, ma non è alcuno che possa domare la lingua
sua, io Albertano ò volontà di mostrarti una picciola dottrina et utile sopra 'l
dire et sopra 'l tacere, ad te figluolo mio Stefano, lo qual si contiene in
un verso. Et è questo lo verso: "Chi tu sè, e che cosa, et a cui tu vuo'
dire, perché, et come, et quando tu richiedi".
->
Ma, imperciò che le parole che contengono in questo verso son gravi
et generali, et la generalità rende oscurità, le dette parole, secondo `l senno e
`l savere mio, ò proponimento di mostrare, avegna che non compiutamente. Tu
addunque, figliuolo carissimo, quando tu ài volontà di parlare, da te medesimo déi
inchominciare,
i a simiglança del gallo, lo qual si percuote tre volte
innançi ch’ei canti. Addunque, nel cominçamento del detto tuo, innançi che tu
parli, richiede te medesmo et tutte le parole che son poste in questo verso, cioè
richiede te medesmo et da te medesmo. Et no
nn
una fiata ma molte déi adomandare te medesmo, perciò che questa parola
te
importa ricominciamento, et è a ddire richie
de
cioè ricominça a domandare, secondo che contasse danari, cioè un’altra
fiata conta.
->
Come non t'intrametti di quello che non ti pertiene
->
Richiede addunque nell’animo tuo qu
ale
persona tu se’ et che cosa tu vuo’ dire et se quel che tu vuo’ dire pertiene di
dire ad te o ad un altro più ch’a te; et se pertiene
ad
un altro più ch’a te, non te ne 'nframettere, perciò che la Legge dice: "Secondo
ch’è da 'ncolpare cului che s’inframette de la cosa che non li pertiene, così è da
'ncolpare cului che dice le parole che non si pertengono a llui di dire. Un
de disse Salamone nei Proverbi che quel cotale è
simigliante ad cului che ode due cani arringhiare: non si
i può tenere
che non s’inframetta de la misschia (sic). Et Giovanni Sirac disse: "Di
quella cosa che non ti molesta non te combaterre (sic)".
->
Anche déi te medesmo, inançi ch
i
e
tu
e parli, richiedire se tu se’ in buon
a
e queto senno, o se tu
sè tur
bato per ira o per alcun’altra turbacione d’animo. Et se l’animo tu
eo è turbato per neuna
cosa, déiti guardare di non
p
arlare e di
costring
ere l’animo tuo perturbato, finatanto che l’ira basta. Onde disse Tulio:
"Virtuosa cosa è di costrin
gere gli animi
turbati e di far
lli obbedienti a le ragi
one".
I
mperciò, quando tu se’ irato déi tacere, perciò
che Seneca disse
che cului ch’è irato non
può dire se
non peccato. Onde disse Cato: "Quando tu se’ irato non déi combattere de
la cosa che tu non sai,
per certo
che l’ira turba sì l’animo, che non può
descernere
la verità". E Ovidio disse: "O tu che vinci tutte le cosa, vince l’animo
et l’ira tua". Unde disse Petro Alifonso che la natura de l’uomo à questo in sé,
che, quando l’animo è turbato per alcuna chosa, non può discernere la verità né
falsità. Et si tu vuoli sapere pienamente dell’ira e de l’irato, leggi un libro
che io feci Dell’amore et de la dilectione di ddio et dell’altre cosa et De la
forma de la vita, nel capitolo Da schifar l’amistà dell’uomo irato.
->
Et anche ri (sic) de’ guardare ne la voluntà di parlare tanto
ti muova e affrecti di parlare che l’appetito tuo non consenta a la ragione;
perciò che disse Salamone che l’uomo che non può costringere lo spirito suo nel
parlare è secondo la cità ch’è aperta et non n'à mura d’intorno.
An
che è usato di dire che chului che non sa parlare addunque non
sa parlare per
[
f. 3v
]
ciò che non può tacere. Onde
un savio huomo, quando fue demandato perch’elli tacea cotanto, era perciò che elli
era stolto, et quelli rispuose et disse: "Lo stolto non può tacere". Et Salamon
dice: "Tieni a vile et reputa niente l’auro e l’argiento tuo, et a le parole tue
pone statera et misura, et inpone a la bocca tua diricti freni, et guarda che tu
non tra
isscorri ne la lingua tua, et sia lo cadimento tuo
insanabile a mo
rte". Et dice Salamone: "Cului che guarda
la bocca sua guarda l’anima sua; ma quelli che parla isfacciatamente se
ntir
à male". Et Cato disse: "Gran virtù credo che sia sapere costringere la
lingua
et proximo et (sic) a dDio cului che sa tacere ad
ragione".
->
Anche déi richiedere te medesmo et da te medesmo, pensare
nell’animo tu
o chi tu se’ che vuoli parlare ad un altro.
Et non riprendere un altro se tu puoi esser ripreso del simigliante detto overo
fatto; perciò che beato Paulo disse ne la Pistola la qual mandò ai Romani: "O
h
uomo che giudichi, non ti poi escusare, inperciò che
in quella medesima cosa che tu giudichi un altro condanni te medesimo,
inperciò che tu fai quell
a
medesme cosa che tu giudichi". Et anche dice in quella medesima Pistola:
"O tu
che
ove
am
a
sti un altro et non amasti te medesmo, tu predichi che neun furi et tu
vuoli furare, et di
ce che neuno sia luxurioso et ài in
abbomina
cçone li santi e fai sacrilegio, cioè
dirubi l’eclesie e non honori Dio". Et Cato dice: "Non far quelle cose che tu se’
usato di biasmare, ché soçça cosa è
de cului che insegna ad un altro,
se può essere ripreso di quella medesima cosa". Et santo Augustino disse: "Ben
dire et mal fare nonn-è altro che dannare sé medesmo co’ la sua
vo
ce". Et in un altro luogo disse Cato: "Non biasmare né detto, né fatto
d’un altro, né un altro biasmi
a te per simigliante exemplo".
->
Anche déi guardare infra te medesmo che
vuo'
parlare, se tu se’ savio o no et se tu sai ben quel che tu vuoi dire, ché
altremente non potresti ben dire. Unde fu uno che demandò un savio huomo com’elli
podesse parlare saviamente et quelli rispose et disse: "Se tu dirai solamente quel
che tu sai bene". Et Giovanni Sirac disse: "Se tu se’ savio, ad l’amico tuo
rispondi; et poni la man tua sopra la bocca tua, acciò che tu non sia ripreso d'un
altro parlare et abbine danno".
->
Anche déi richiedere che si può seguitare del tu
o
parlare, perciò che sono alcun
e
cose che dal cominciamento paiono bene et ne la fine ànno mal effetto.
Onde disse Giovan Sirac: "In tutti beni troverai dui mali, et inperciò non
solamente déi guardare a
l principio, ma e
cçiam a le fine, et
pensare che si seguita del detto tu
o
". Unde disse Panfilo: "Savio huomo lo principio et la fine, et ne
la fine si è reiparare (sic) ogna cosa ben fatta et mal fatta". Et aguarda lo
principio et la fine de la parola, acciò che tu possi meglio dire chel che tu
vuoli. Et se tu vedrai, et dubiteraine che male effetto si debia seguitare del tuo
parlare, déi più tost (sic) tacere che parlare. Unde disse Petro Alfonso: "Se
tu ài paura di dir cosa unde tu debbia aver pentimento, meglio è che tu non la
dichi", perciò ch’al savio huomo si pertiene più di tacere per sé che di parlare
contra sé. Onde molte persone ò vedute aver danno di parlare, ma di tacere non ne
vidi anche neuno che n’avesse danno; perciò che le parole sono simigliante ad le
saette, le qual agevolemente entrano et malagevolemente si traggono. Unde dice
Boeçio: "La parola ch’è detta non può mai non essere detta", et perciò ne
dubbio (sic) meglio è tacere che parlare, secondo che ne’ fatti dubbiosi meglo
è non fare che fare, secondo che disse Tulio, lo qual disse: "Ben comandano color
che vietano di far quelle cose de le quale è dubio se elle sono giuste et buone o
meno che buone, perciò che la giusti
cçia per sé è manifestamente buona, ma la
cosa dubbiosa à in sé ingiuria et danno". Onde disse un savio huomo: "Se tu dubiti
neuna
[
f. 4r
]
cosa non la fare".
->
Et déiti guardare di non fare alcuna
la cosa la quale
non ti dicie il cuore di fare; déi fare
t tutte le cose che ti dice `l
cuore di fare, perciò che Seneca disse: "Alcuna fiata
è
matteçça consiglia l’uomo ne le cose dubbiose".
->
Et certo molt
e
cose ti potrei dire e insegniare ad exponere quella parola chi tu se’; ma
questi
c ci
nque exempli che io t’ò detti ti
bastino, perciò che io non voglo fare lungo trattato.
->
Come tu dei guardare la cosa che vo' dire s'è vero o falso
->
Dapoi ch’è veduto come
si dé si dé intendere questa
parola chi tu se’, vo’ ti mostrare che tu déi intendere per quest’altra: che
cosa.
->
E certo tu déi guardare se la cosa che tu voli dire è verità o
falsità non la de’ dire (sic), ançi
ciò che tu dirai
sia pura verità. Onde disse Giovan Sirac: "Inançi ad tutte l’opere tue sì u
sa
parole di verità et innançi che tu facci la cosa déi esser fermamente
consigliato", perciò che la verità è da honorare sopra tutte l’altre cose,
inperciò ch’ella sola fa esser gl’omini presso a dDio, secondo che e’ medesmo
disse: "Io sono via e verità".
->
Addunque, se tu voli parlare, déi al pustuto dire verità, levando
da te ognie bugia. Onde disse Salamone nell’Eclesiastico: "Più è da amare un
ladrone che un che dicha sempre bugie et falsità". Et un altro savio disse:
"Adconsente a la verità, o dichila tu
a
d un altro o un altro la dica ad te". Et Cassiodero disse: "Pessima usança
è a bbiasmare la verità"; intendo la verità ch’è pura, ne la quale non è meschiata
alcuna falsità. Et ciò è che disse Cassiodero: "Buona cosa è verità se con essa
non è meschiata alcuna falsità"; et intendo de
l
a verità semplice, cioè leiale. Onde disse Seneca: "Le parole di cului che
vuole adoperare verità debono essere semplice et non composte", cioè
mariscaltrite.
->
Debbi addunque in tal modo parlare verità, che
sì ciò
che tu die possi lealmente giurare e non abbia alcun disguaglio a la tua simplice
parola nel seramento. Onde disse Senica: "C
uolui che dice tai parole, che non le può
giurare, tiene a vile et per nulla
il seramento". E anche
disse nel libro De la forma dell’onesta vita: "Non sia punto di força (sic)
fra te de dire et affermare le parole et déi giuralle, perciò che là dunque si
tratta et si dicie o fassi mentioni de la verità, ivi si tratta de la fede, et si
dice sant
e
e cortese cose. Et advegna che non si chiami, né non si faccia invoca
cçione et preghieri a
dDio con seramento et con testimonio, almeno non déi passare la verità, acciò che
non passi la legie de la giusticia.
->
Et se alcuna fiata tu se’ co
nstretto di
dire e d’usare alcuna bugia, tu la déi dire a dd
i
fendimento de la verità et non de la falsità. Et si t’averà c
he
tu possi recomperare o guardare una fedeltà et una giusta cosa per una
bugia, non serai perciò tenuto bugiardo, ançi ne serai lodato, perciò che `l
giusto homo non può mentire, né ingannare quando egli à giusta cagione, onde
quelle cose che de’ dire dicele, et quelle che non de’ dire non dice".
->
Déi addunque verità pura et semplice
de dire, et pregha
Dio che faccia da lunga la parola falsa et di bugia. Onde Salamone pregò Dio et
disse: "Signore Dio, due cose ti prego che tu mi facci, innançi ch'
e
i
o muoia, cioè vanità et parola di falsità fa' di lungi da me". Et secondo
che tu non déi dire contra la verità, così né fare. Onde disse san Paulo, ne la
secondo (sic) Pistola che mandò ai Corinthi: "Noi non potemo alcuna cosa
contra la verità, ma co’ la verità".
->
Anche déi dire tal verità che sia creduta, ch’altremente serebbe
tenuta falsità, perciò che la verità che nonn-è creduta et (sic) reputata et
tenuta secondo che bugia et falsità e la bugia che è creduta pare secondo que
verità; et perciò ti dissi di sopra che tu déi dire verità, schifando ogni bugia
malscaltrita, cioè ingannevile. Onde non dé essere tenuto falso o fallacie que’
que dice la falsità et cre
de che sia verità; e adviene
altresì lo contrario, che cului che dice la verità e crede
ri dire
falsità non dé essere
[
f. 4v
]
tenuto buono, ançi falso et ingannatore. Et
nonn'è libero da falsità c
uolui che conosce la falsità e diciela vol
ountieri, secondo che
dice beato Augustino.
->
Anche déi guardare se la cosa che tu vuo’ dire è aspra o soave o
dolce, perciò che le dolce parole son da dire et l’asprae sono a ppustuto da
tacere. Onde disse Giovan Sirac: "Viole et cennamelle fanno dolce sono et
delettevole canto, ma sopra tutte è la lingua che dicie soave parole". Et anche
disse: "La parola dulce multiplica gli amici et adhumilia gli
nimici
". Et anche si suol dire che la selva tien
e
la lepre, ma la lingua del savio huomo tiene sapien
cçia et
dolceca (sic). Et Panfilo disse: "Dolce parole acquista et conserva
amore".
->
Anche déi guardare se quel che tu vuo’ dire è duro o molle, cioè
orgoglio (sic) o umile, perciò che le parole molli sono sempre da dire, et
non le dure. Onde disse Salamone: "La molle risponsione rompe et speçça l’ira, ma
la parola dura suscita furore, cioè comune nequità".
->
Anche déi guardare se quel che tu vuo’ dire è bello o soçço,
perciò che le belle et le buone parole son da dire, lasciando al pustutto le soççe
et le rie cose.
u Onde disse san Paulo ne la Pistola prima ad quelli di
Chorinthia: "Non
in lasci vi lasciate ingannare, ché le male parole
corrompono li buoni costumi". Et in un altro luogo disse a que’ di Effesia: "Neuna
parola soçça v’esca de la bocca vostra". Et anche in quel medesmo luogo disse:
"Soççe parole, né oscure, né stolte non siano in voi, secondo che si conv
iene ai santi". E Seneca disse De la forma de l’onesta
vita: "Guardat
e
vi de le soççe parole, ché la loro usança notrica stolteça". Et Salamone
disse: "Huomo ch’è usato di dire parolae ingiuriose e d’oltraggio, non si
gastigarà in tutti li di
e de la vita sua". Addunque la parola tua non
sia soçça, ma sia condita di sale di gratia; perciò che dice san Paulo ne la
Pistola ad Colocenses: "La parola vostra sempre sia condita di sale di gratia,
adcciò che non (sic) sacciate come si conviene rispondere
ad ad
ciascuna persona". Anche déi guardare che tu non dichi parole oscure, né dubbiose,
ma de’ dire cosa chiar
e
et d'aperta (sic). Unde dice la Legie che nonn-è disguaglio tra
c
uo
u
lui che n
iega et c
uolui che tacie et c
uolui che risponde
oscuro quanto a quest
o
, ch’è lasciare c
uolui in dubio che domanda. Onde si
tro truova scripto che meglio è esser muto, che dire quel che neuno
huomo non dé intende
re. Anche déi guardare non tu dichi
alcuna chosa soffistica, cioè vanagloriosa et ingannevole, perciò che disse Giovan
Sirac: "C
uolui che
parla soffisticamente, cioè ingegnosamente, è odiato da ogn’omo et non à alcuna
gra
cçia da Dio,
perciò che ogne chosa vuole frodare et torre ad altrui".
->
Anche déi guardare che tu non dichi, né facci alcuna cosa
ingiuriosa et che torni a ddissinore d’alcuno, perciò che si truova scripto che
chi fa ingiuria ad un
o
minaccia molte gente. Onde Giovan Sirac disse: "Non ricordare la `ngiuria
al prossimo et non fare alcuna
cosa che sia d’ingiuria". Et se
creta
disse in una Pistola: "Aspetta da un altro quel che tu fai ad un altro".
Et questa iiuria (sic) et malvagità et massimamente di quella che si fa sotto
spe
cçia di far
bene, et fa male. Onde dice Tullio che nonn-è maiore ingiuria que quella che
l’uomo fa acciò che e’ paia buono huomo et vuole ingannare altrui. Unde le
`ngiurie
ete disnori
sono cagioni di gran male, et non solamente fanno dan
pno ad questo et
ad quello, ma e
cçiamdio in regno et una provincia ne sostiene
dice distructione e mutamento tal fiata. Et ciò è che dice Giovan
Sirac: "Una provincia si transmuta da gente in gente per le ingiurie et per le
mal
avagità". Non solamente déi guardare di dire et di fare ingiuria
ad un altro che vuole fare alcuna ingiuria, se tu puoi agevolemente. Onde dice
Tullio nel libro de gli Offi
cçi: "Due modi son di fare ingiuria: l’un
o
è quando altre disse (sic) fa ingiuria a l’altro è quando altri può
sì fare, che un altro non faccia ingiuria all’altro et non lo fa". E pongoti tale
exemplo: se Petro può sì fare che Martino non faccia ingiuria ad Giovanni et nol
fa, Petro fa ingiuria ad Giovanni,
[
f. 5r
]
secondo che Martino. Et è altresì
gran vi
cçio se tu non
contrasti a la
in ingiuria che può essere facta al vi
cçio tuo, se tu puoi,
come tu abbandonassi tuo padre et tua madre et la terra tua et tutti gli amici
tui. Et dico: "Se tu puoi agevolemente"; perciò che quell
a
cos
e
a
può l’uomo fare, che puoi agevolmente, secondo che la nostra leggie dice.
Et se un altro ti dice ingiuria, déi star queto, perc
hiò che santo
Augustino disse nel libro Del Sommo bene, che più gloriosa cosa è ad passare una
ingiuria et sofferire tacendo, che, rispondendo, vincere cului che ti dice
ingiuria.
->
Anche déi guardare che tu non dichi chosa di tradimento, perciò
che nonn-è neuna chosa sì mortale ne la cità come `l tradimento.
->
Anche déi guardare che tu non dichi cosa schernevole, né
all’amico, né al nemico tuo, né ad u
n al
tra persona. Unde si tru
a
o
va scripto che l’uomo non dé schernire l’amico suo per giuoco, perciò che,
quanto egli serà migliore amico, tanto più l
ao terrà per male se tu farai beffe di lui
tosto verrà
a parolae con teco, perciò che nonn-è alcuna
persona, se altri fa beffe et scherne
sce di
ilui, che egli non ne
sia dolente, et che non si meno
m
i l’amore tra lui et cului che fa beffe di lui.
Et secondo che dice la Regola dell’am
eorae, l’amore che si menoma, tosto viene
meno et rade volte cresce. Et certo tanto potresti fare ingiuria altrui, che tu
udiresti et riceveresti cosa che non ti piacerebbe. Onde disse Salamone che chi
rinunça gl’altrui vi
cçij, tosto
u
dirà rinun
cçiare di sui peccati. Et Mar
cçial disse: "Quelli che
schernisce altrui non andrà che egli non sia
schirnito". Et anche disse che di biasmare altrui et quelli che fa
privatamente beffe d
ie
l’altro; et soçça cosa è ad cului che seguita quelle beffe.
->
Anche de’ guardare la
t
ua d
otrina
cosa, che tu dichi alcuna cosa malvagia. Unde disse il profeta, cioè
David, nel Salterio: "Domenedio disperg
ia tutte le bucche
che parlano malvagiamente et la lingua che parla gran cose". La ter
cçiadecima che tu déi
guardare si è che tu non dichi alcuna chosa con superbia, perciò che Salomon disse
che cholà
ove userà superbia, i userà
ingiuria et quivi ove serà humilità, ivi serà sapien
cçia con gloria. Et Iob
disse: "Se la superbia andasse infino al cielo et toccasse
l li nuvoli
col capo, ne la fine serà sperta et avilita come fe
cc
ia". E Giovan Sirac disse: "L’uomo soperbio è odiato da Dio et da ttutti
gl’uomini del mondo; et
è da vituperare ogna nequità". Et
anche disse: "Le tençioni et le `ngiurie destrugono la sustança dell’uomo, et la
casa ch’è riccha diventerà povera per la superbia".
->
Anche déi guardare che tu non dichi alcuna cosa o
cçiosa, perciò che si
truova scripta
o che d’ogne parola o
cçiosa dovremo rendere
ragione. Sia addunque la parola tua et tutto lo parlare tuo vero et efficace, et
non vano, sia ragionevole, dolce et soave, sia molle et non duro, sia bello et non
soçço o rio, sia non noscuro (sic), né dubbioso, sia non soffistico, né ingiurios
o
, et non sia sedi
cçioso, si
a
di tradimento pieno; sia non scernevole (sic), sia non ingannevole,
né
soperbia oçiosa
, cioè sença. Et queste cose ti dò per
regola
et per amaestramento generale, perciò che tutte le cose che gu
astano la pietà nostra et la stima
cçion
n
nostra, la vergogna nostra, et brevemente tutte le cose che son contra buon
custumi, né pur da crede
re che noi le possiam fare, secondo che la
legiee nostra dice. Et secondo che noi non le dovem fare, così non le dovemo dire,
perciò che Socrate disse: "Quelle cose che son
so
ççe a fare non credo che siano honeste a dire". Addunque déi fare sempre
cose honeste, non solamente infra coloro che tu non cogniosci, ma e
cçiam
nondio
fra li
ni
mici tui, perciò c
he cului che us
a
honeste parole fra gli altri nonn-è convenevole cos
a
che elli usi inhoneste parole fra i suoi, con ciò sia cosa che in
ciascuna parte de la vita nostra sia molto necessaria l’onestà.
->
Et certo infiniti exempli ti potrei dare ad exponere questa
parola che chosa, ma queste cosa che io t’ò dette ti bastino a questa fiata.
->
Come tu déi considerare ad cui tu parli et che
->
Poscia che t’ho mostrato che si dé intendere per queste due
parole chi tu se’
[
f. 5v
]
e che cosa, vogloti 'nsegniare che tu déi intendere
per questa parol
a
ad cui.
->
Et certo quando tu vuoli parlare, tu déi considerare ad cui tu
parli, perciò che cho’ l’amico tuo de’ parlare bene et soavemente; onde non è
neuna cosa più da amare, che avere uno amico col qual tu possi parlare secondo che
con te medesmo. Et tutta fiata sì ti déi guardare che c
on
c
uolui ch’è
ben tuo amico non dichi alcuna cosa de la quale tu abbi paura et sia dolente si
elli la dicesse ad un altro, quando elli fosse fatto tuo nemico. Unde dice Seneca
nel libro de le Pistole: "Tu déi parlare co’ gli amici tui secondo che
Dio t'ogiaio t'ò già
detto, et sì de’ vivere co’ gli am
i
ci come se Dio ti vede", cioè pensa nell’animo
tuo quando tu parli col tuo amico e
uviove, ché Dio ode e vede ciò che tu di
ci et
fai. Et un altro disse: "Se tu ài l’amico, guard
a
che non ti chonvegnia aver paura s’egli deventasse tuo
ne
mico". Et Petro Alifonso disse, per gli amici che non son provati, né
veraci: "Guardati una fiata dal nimico tuo et mille fiate dagli amici tui, perciò
che quegli ch’è amico alcuna fiata si fa nemico, et così più tosto ti potrebbe far
danno".
->
Et dicoti così, che se tu ài alcuna tua cosa secreta, de la quale
tu non voli et non possi avere consiglio, che tu la ti debbia tenere et non
manifestarla ad alcuno. Onde disse Giovan Sirac: "All’amico, né al nemico non déi
manifestare tutte le tue secrete cose et maximamente li peccati et le malvagità
tue; perciò che t’udirà et aguardandoti, quasi defendendoti, farà beffe di te". Et
un altro disse: "Quello che tu vuoli che sia secreto nol dire ad alcuno". Et un
altro disse: "Appena che tu possi trovare un
o
o
homo che possa tenere celato una cosa secreta". Et un
altro disse: "El secreto el consiglio e le secrete cose tue tielle rinchiuse,
secondo che ne la pregione tua, perciò
che
quando tu l’avrai manifestate et terrà legato te in de la pregione sua".
Et un altro disse: "Quelli c
he
tiene lo consiglio suo nel cuor suo è segnior di sé et di p
rendere l
oia migliore parte" et più sicura cosa è a
stare queto, che pregare un altro che stea cheto. Et di ciò disse Seneca buona
parola;
che disse: "Se tu non starai queto, tu
come comandi ad un altro che stea queto?" et se tu averai
alcuna tua facienda secreta, de la quale tu voli avere consiglio,
dia
la manifestare al più fedele e al più provato amico che tu ài". Unde disse
Salamone che l’omo dé avere molti amici, ma consiglieri et consigliatori de
a avere uno infra mille. Et Cato dice: "El secreto
consiglio déi dire al fedele amico, et la 'nfertà del corpo dé' dire al fedel
medico", et al nimico tuo non déi molto parlare, né manifestare alcuna tua cosa
privada. Et ciò è che dice Isopo: "Non affidare et non manifestare alcuna tua cosa
privada cun cui tu ài co
nbbattuto".
->
Et in un altro luogo disse: "Non aver fede, né speran
ça nel nemico tuo", et questo déi intendere e
cçiamdio poi ch'elli
avesse fatto pace con teco. Perciò che si truova scripto che neun può aver
perfettamente la gra
cçia del nemico suo, perciò che li vapori dell’odio
sempre rimangono del nemico. Onde dice Seneca: "Colà dove sta longamente il fuocho
non può essere mai sança
fu
mo". Et anchor disse: "Meglio
è che altri muoia
per l’amico suo, che viva chol suo nemico ch’è stato anticamente
s
uo nemicho non credere in perpetua, et s’e
lgli
ti se aumiliasse et inchinasseti anche, non li credere",
perciò ch’elli fa per la sua utilità et non per amistà, acciò ch’elgli ti vuole
prendere et ingannare per amore et per lusinghe, quando non ti può ingannare per
força. Et Salamon disse che dinançi da tte lagrimerà lo nimicho tuo et, s'egli
vederà tempo, non si po
t
erà sa
cçiare
del tuo sangue. Et Petro Alifonso disse: "Non t’acompaigniare coi nemici tui, con
ciò sia cosa che tu possi avere molti altri compagni, perciò che quelle cose ree
che tu farai, tutte le terrano ad mente et le buone tutte obli
veranno". Et generalmente ti dicho che tu con tutta g
ente dia
parlare cautamente, perciò che molti son
o tenuti
amici che in verità son
o nemici. Onde dice Petro Alfonso
che tutti quelli che tu non cognosci
[
f. 6r
]
quasi déi sospicare, cioè che
non siano tuoi nemici. Unde disse: "Non andare per via con neuno che tu innançi
non cognoschi. Et se alcuno ti si accompagnia che tu non cognosci ne la via, et
domanditi ove tu vai, digli che tu vuogli andare assai più a llungha che tu non
t'
ài posto in chuore; et s’egli
à lancia vagli dal
lato diritto et s’igli à spada vagli dal lato sinistro".
->
Anche dé' guardare se tu vuoli parlare ad un
c
h'omo o a stolto.
Per ch'ioPerciò che Salamon disse che tu non
déi parlare in de l’orecchie de lo stolto, perciò che dispregia
ta la dottrina tua.
Et anche disse: "L’uomo
savio, s’elgli combbatte co’ lo stolto, overo che rida over che s’adiri, sempre li
farà noia". Et anche: "Lo stolto non riceve
rà parole savie, se tu no li
disse dici parole che gli piacciano et che sono nel chuore suo". Et
Giovan Sirac disse: "Quel
i che diss
ie a lo
stolto savie parole è come quelli che parla con c
uolui che dorme; unde nel fine del suo detto
dirà: Chi se’ tu?".
->
Anche déi guardare che tu non parli con neuno huomo schernidore.
Unde si
tro truova scripto: "Non aver compagnia
c chon
ischernidori, ançi fugi la lor compagnia come 'l tosco, perciò che non ti potrai
guardare che e’ non ti inganni et non ti faccia disinore". Et Salamon disse: "Non rip
ren
dere lo schernidore, però
che elgli te
i n’odiarà; ma riprend' el savio et amarattene". Et Seneca
disse: "C
uolui che
chorregie il truffadore fa iniuria ad sé medesmo; et chi gastigha l’uomo malvag
lio
à voglia di far male ad sé medesmo".
->
Anche déi guardare che non parli con neuno virlingoso et loquace,
cioè con neuno che parli troppo. Perciò che 'l Profeta disse: "L’uomo virlinghoso
non serà amato sopra terra". Et Giovan Sirac disse: "Terribile cosa è, cioè
pericolosa, l’uomo virlingoso ne la
citàcitade sua. Et cului ch’è sfacciato ne le
parole sue sarà
hodiato da la gente". Et anche: "Chi odia la loquacità
distruge molti mali"; et anche disse: "Co
l l’uomo virlinghoso non
parlare et non mettere legnia nel suo
fo fuocho", cioè non l’adastiare
di parole. Et anche disse: "Con molti non aver consiglio, perciò che non lo' può
piacere se non quel ch’eglie amano".
->
Anche
ti
déi guardare che tu non parli con nemici. Unde dice Tullio: "La ragione de
i nemici
è a ppostutto da lasciare"; et vedere che è a ddire
nemici
: cimos in greco tanto vale quanto in latino cane, onde sono detti
n
imici color
oe
che quando vogli
oano
parlare latran come cane. D'i quali disse Domenedio: "Non gittare le margarite tra
i porci".
->
Anche dé' guardare che tu non ten
cçioni con ma
livoli
, cioè con malvagi huomini. Perciò che santo Augustino dice: "Secondo
ch
e `l fuocho quanto più vi metti entro legnia, tanto fa magiore fiamma,
così il malvagio huomo quanto egli più ode la ragione, tanto più cresce ne la
mali
cçia"; et
nell’animo malivol
e
e nonn-entra
savecasaçietà, secondo che Cristo disse: "Non
ten
cçionare di
parole con coloro che sono verbosi, cioè ch’àno molte parole, perciò che la parola
è data a tutta gente; ma 'l savere dell’animo è dato a pochi".
->
Anche guarda che di tuoi se
creti
non parli con huomo ebbrioso né con fe
mina
, perciò che disse Salamone che neuna chosa secreta può dimorare in loro.
Et in un altro luogo disse: "La garr
ul
ic
ità, cioè l
ie
garricite de le femine, non può celare neuna cosa, se non quello que
non sa".
->
Anche, quando tu vuo' dire alcuna cosa,
dia g
uardare chi son coloro che ti debbono intendere, perciò che si truova scrip
to
che tu ti déi guardare dintorno quando tu vuo' dire alcuna cosa,
maximamente che non piaccia forse agl'uomini, acciò che non ve n’abbia forse
qualcheuno che ti riprenda et dica che tu abbi mal detto.
->
Et certo molti exempli ti potrei ponere ad intendere quest
e
parole
ad cui; ma bastino
q quel
e che dett
e
sono.
->
Come huomo dé guardare la cagione nei detti come ne' fatti
->
Ogiumai ti voglio mostrare che tu déi intendere per questa parola
perché, è a dire perché, cioè per che ragione. Onde tu déi guardare la cagione del
detto tuo, secondo che ne' fatti è da considerare la cagione. Secondo che dice
Seneca che di ciasche
duno
fatto déi addimandare cagione
[
f. 6v
]
et quando tu se’ nel
cominciamento déi guardare a la fine, così nei detti sempre déi richiedere la
cagione: perciò che secondo che neuna cosa si fa sança cagione, né `l
imondo non si mantiene per casi fortuiti, cioè per avenementi, secondo
che dice Cassiodoro, così tu non déi dire alcuna cosa sança cagione; et secondo
che in una cosa si truova quattro causae, cioè la cagione materiale et la cagione
formale et la efficiente et la finale, così nel detto si posson trovare queste
quattro cagione. Et con
ciò
sia cosa che
io t’abbia mostrato guarda la
cagione materiale e la cagione efficiente, perciò che t’ò detto che tu déi
guardare che cosa tu déi dire et chi tu se’ che tu voli parlare,
N
V
oglioti mostrare ora a la cagione finale, cioè ad che fin
e tu déi parlare et questo intendo per questa parola
perché. Et dippo’ questa t’insegnerò a guardare a la cagione formale, cioè al modo
de parlare.
->
Sia adunque la finale cagione del detto tuo, cioè quel che si de’
seguitare de le tue parole, o per servire et per obbedire a dDio, o per utilità de
gl'uomini, over per utilità d’alcun tuo amicho. In servigio di Dio déi parlare
secondo che fanno i frati predicatori et minori et altri religiosi, confortando
ciascheun uomo che non debbia fare quello altrui che non vollesse che fosse fatto
a lui; et che egli debbia fare a ciascheuna persona quello che volesse che fosse
fatto a sé, acciò che possa pervenire all’allegreç
e
a
de la vita eterna. Per alcuno tuo spe
cçiale amico déi parlare secondo che fanno li
advocati et altri arringatori; et da che tu parli per utilità d’alcuna spe
cçial persona, nonn-è
sconvenevole che te se ne seguiti spe
cçiale utilità. Onde dice santo Aug
ostino: "Licita cosa è all’avocato di vendere la sua giusta
avo
cacione, et quel ch’è ben dotto di ragione può
vendere lo giusto consiglio".
->
Et perciò guarda se `l tuo è giusto consiglio et se `l tuo
consiglio, del quale tu déi avere utilità, è di cosa giusta et bella over di cosa
soçça. Imperciò che la leggie dice che i soççi guadagni son da avere inn-odio
e
cçiamdio
dagl'uomini che son men che buoni. Et Seneca disse: "Fugge
'l
lo
soçç
o
o
guadagnio come d’essere
impe
so per la gola". Et un altro disse: "Lo guadagnio di mala fama, cioè che
dispiace ad tutti o a maggior parte de le gente,
è da
reputare per danno". Et anch
e
si truova scrip
to
: "Più tosto vorrei aver perduto che soççamente guadagniato".
->
Ancho
che dé essere lo comodo, cioè
'llo guadagnio tuo,
moderato, onde è detto comodo,
cioè con modo cioè con modo. Unde disse
Cassiodoro che se `l comodo passa la misura di quel ch’è convenevile, non può mai
esser detto comodo, cioè guadagnio. Dé anche esser lo comodo e `l guadagnio tuo
naturale et quasi c
oumune, cioè cun tu
a
utilità et d’altrui, et non con danno d’alcun'altro. Unde dice la leggie
che naturale et giusta cosa è che neuna persona non diventi riccho del danno
altrui. Et Tullio disse che né paura, né dolore, né morte, né alcun'altra cosa che
possa advenire ad l’uomo è tanto contra natura quan
to
a crescere lo suo comodo dell’altrui como
do, cioè
arrichire dell’altrui con danno altrui et maximamente di quello del povero huomo.
Et ciò è che disse Cassiodero: che sopra
tutte
le crudelità che si possan fare è che l’omo diventi, o voglia diventare,
riccho de la povertà del mendico.
->
Per comodo et utilità delgl'uomini parlaro color
o che fecero le leggi
j
et
color che fanno li costituti et gli ordinamenti e le segnorie de le
terre, acciò che ciascheduno si conservi ne lo suo stato; et tu a cciò ti sforça
quanto
poi puoi et tutta fiata con modo et con ragione. Et anche può
esser lo fine in servigio di dDio et digl'uomini del mondo, secondo che fanno li
preti et gli altri cherici scolari et maximamente in servigio di dDio et anche per
loro utilità. Ancho non déi dire né fare per l’amico tuo se non cosa giusta et
bella. Anche secondo la Regola de l’amore non è scusato da peccato cului che pecca
per cagion dell’amico suo; et se tu sofferi li peccati d
'al
t
rui fai i
tuoi. Et anche si suol dire che chi dà
a
a
iuto al peccato, pecca duo fiate; et apparechiasi di peccare chelli
ch’aiuta lo nocente et maximamente ne la cosa soçça. Unde disse
[
f. 7r
]
Seneca che ne la cosa soçça si può peccare in du
o
modi. Addunque dé' difendere l’amico tuo giustamente, acciò che tu
si'a tenuto proprio
difenditore. Secondo che disse Cassiodoro che proprio difenditore è chelli che
difende g
iustamente. Et anche per tutte queste
ser cose, cioè per servigio di dDio et per utilità
degl'uomini et di tuoi spe
ouiali amici, parla et adopera volontieri,
quando tu puoi.
->
Et questo ti basti aguale per exponere questa parola: perché.
->
Del modo del parlare et del pronun
cçiare
->
Et voglioti 'nsegnare da qui inançi che tu déi intendere per
questa parola come, et così averai a tte tutte et quattro le cagione che si
possoro trovare in ciascheuna cosa. Et dicoti che questa parola come significa
modo. Addunque tu déi guardare lo modo del parlare tuo, perciò che, secondo che ne
le cose è d
a
osservare modo, del quale è usato a ddire: el modo è in
t
utte le cose et infine son tutt
ie, oltra quali né infra quali nonn-è neuna
cosa diricta, così ne' detti, se tu non ài modo, non potrai dire cosa che buona
sia. Unde disse Cassiodoro: "El modo è da lodare in ognie luogho". Sia addunque el
modo et lo tuo parlare in cinque cose, cioè in del pronun
cçiare, cioè ne la
belleçça de le parolae, et sia ne la rateça, overo affretteça, sia ne la tardeçça
et ne la quantità et ne la qualità.
->
Veggiamo addunque che è a dire pronun
cçia
cçione:
pronumptiatione è manifestamento dell’animo con parole, secondo che si
conviene a le cose de le qual
e
i
tu parli et che diletti coloro che pensano, secondo che disse Tullio che
`l parlare non troppo savio, se egli è acconciamente fatto, è molto lodato, et
advegna che ella sia bella et pulita, s'egli è fatto disconciamente è dispregiato
et fattone beffe. Addunque nel pronun
cçiamento tuo déi osservare et averae
temperança di voce et di spirito, et nel movimento del corpo et de la lingua; déi
molt
o considerare et discacciar da te tutti viçij de
la bocca, se n’ài, acciò che l
e
parol
e
tu
e
non siano
e
i
nfiate, né gorgot
ta
tçe ne la gola
et non sia la voce tua ismancevole, né aviluppata infra i denti, né non sia fatta
con grandi aperimenti di labri e discoprimento di denti, ma sia expressa
igualmente et lievemente et chiaramente detta, sì che ciascheduna lettera e
ciascheuna parola sia detta col suo suono, sança ogna
rem
uore et grido, acciò che per le molte grande grida et distendimento di
collo non sia inpedito lo tuo parlare.
->
Anche déi considerare nel parlar
tuo
, cioè ne l’aringamento che ti convennisse alcuna fiata farae in consiglio
o dinançi ad gran segniore, lo luogo et la cosa et la cagione e `l tempo: perciò
che altre parole si deono dire con simplicità, et tali si convengono affermare per
detto di savio huomo, et tali si convengono dir indigna
cçione et ira, et tali
che si convengono dir con humilità; et così 'l detto tuo sempre d
éi rispondere a la cagion sua. Et déi tenere la faccia
e la
testa tua dritta et piacevole, non torcendoti nelle latora, non
espiciandoespeççando la
bocca, non tenendo
'l
vuoltoil volto
rivescio, non v
o
lgendo gli occhi ad terra et ad cielo, né col capo chinato, né levando le
ciglia ad alto, perciò che neuna cosa che non si conviene non
può piacere. Unde disse Tullio ch'è capo d’arte far quello que si convien
e
. Anche leccare li labbra o mordigli nonn-è bella cosa
et
a
quelli che vole piacere nel parlare. Et quando tu ài a dire gran
cose, diele dire grandemente et vigorosamente. Et quando
ài a ddire picciule cose, de'le dire pianamente et agevolemente, secondo che si
conviene; perciò che ne le picciole cose non è a ddire neuna cosa tropp
a
o
grande né troppo maravigliose, ma ne le gran cose, secondo che quando
l’uomo parla di dDio et de la salute degl'uomini, déi parlare con grande
maraviglie, con gran magnificenia et con gran potença; et ne le cose temperate,
secondo che quando l’uomo parla solamente acciò che deletti agli oditori, dé
parlare meçanamente. Et alcuna fiata che l’uomo parla di grande cosa, et non si
coviene parlar troppo grandissimamente.
->
Et perciò se t’avenisse che tu dovessi lodare alcuna persona u
vituperare, temperatamente il fa. Perciò che Seneca disse ne la forma de l’onesta
vita: "Loda poco et vitupera meno". Et
[
f. 7v
]
è altresì da riprendere lo
troppo lodare come `l troppo biasmare, perciò che `l troppo lodare si pertiene a
llusinghe, el troppo vituperare si pertiene ad malvagità. Et non déi lodare neuna
persona in sua preçança, onde si truova scripto che lodare né far danno altrui déi
in sua presença.
->
Anche déi considerare et aver modo di parlare avaccio et lento
secondo che si chonviene, et altramenti nel parlare che in far l’altre cose,
perciò che non déi esser veloce nel parlare, cioè fretoloso
furioso
ançi lento secondo il modo convenevole. Unde dice beato Jacobo ne la
Pistola sua: "ad urae (sic) et tardo ad parlare et tardo ad ira". Onde
dimorare et pensare ne le cose nonn-è male. Onde è s
cusato di dire: "Ogne dimorança è tenuta in odio,
i ma fa l’uomo
savio". Et anch
e
consigli
da
aver tardeça et non fretta. Unde si truova scripto che dei consigli
quello che molto si ragiona et si pensa è più diretto, perciò che chi dà o riceve
a ffretta, bisognio è che po
scia
si ne penta. Et anche si dice: "Tre cose sono contraire al consiglio:
fretta, ira et cupidità, cioè desiderio di guadagnaire". Ma quando tu vuoi fare la
cosa, et poi che tu averai sopra deliberato et pensato, spiglia
tamente déi fare. Onde disse Seneca ne le Pistolae: "Men di’ et fa più
et per lungo tempo pen
cça et fa tostamente", perciò che la tosteça fa
la cosa gra
cçiosa. Et
Salamone disse: "L’uomo ch’è veloce et spigliato in tutte le sue opere starà
dinançi dai re et none starà coi villani". Et tutta fiata
ti
guarda che tu non sia sì veloce che tu déi fare si
ne possa inpedimen
tire
.
->
Ancho déi guardare che `l tuo parlare non sia molto in quantità,
perciò che molto parlare non è sensa peccato. Et Salamon disse nell'
Egri
siastico che d
o
po molti pensieri si seguita senno et dipo’ molto parlare si truova
stolteça. Et Seneca disse: "Neiuna cosa è che tanto faccia pro et hutilità altrui
come `l poco parlare". Et Socrate disse: "Tu potrai ad tutta giente piacere se tu
farai buone cose et parlerai poco". Anche déi aver modo ne la qualità del parlare,
cioè in ben dire. Onde si truova scripto che principio de l'amistà è ben parlare,
et mal parlare è nascimento di nimistà. Et dé' dire parole al
legre et honeste et lucide et comunali et savie con piana bocca et queto
volto, non con riso, non con grida. Unde disse Salamone che parole composte, cioè
saggie et ben dette, son fiadon di mele et dolceça d’animo et sanità
dell’ossa.
->
Et questo ti basti sopra questa parola come.
->
Quando la parola importa tempo
->
Rimane a insegnarti che tu dé' intendere per questa parola quando.
Et de’ sapere che quando importa tempo. Et perciò diligent
e
mente déi guardare lo tempo et l’ordine del tuo parlare. Onde disse Giovan
Sirac: "Lo savio huomo st
a
rà queto fine a bbuono peçç
o
, ma l’uomo lascivio, e vago et matto, non cura di tempo". Considera
addunque el tempo di parlare, acciò che si seguita la parola di Salamone che
disse: "El tempo di parlare et di tacere è gran temperamento nel parlare". Abbi
addunque in te silen
cçio, cioè queteçça, finattanto che t’è mistiere di
parlare.
->
Et non solamente déi osservare silen
cçio tu, ma e
cçiam dé
i
o
aspectare lo silen
cçio d’un altro. Addunque aspetta tempo di
parlare finattanto che tu
ne vedi che tu si
ea udito. Per
ciò
che disse Giovan Sirac che colà ove nonn-è
audito
, non è da far sermone et o increscievole non ti tenere buono
di tuo savere, che increscievole è la parola tua quando tu non se’ udito. Et se’
chome quelli che suon
a la viola infra color che piangono.
Et
così come c
oului che parla ad color che non l’odono, et
come cului che parla ad
cu
lui che dorme.
->
Et non solamente dé' considerare tempo quando tu parli altrui, ma
e
cçiamdio quando tu
rispondi altrui. Onde si truova scripto: "Non t’affrettare di rispondere
infinatanto che quelli che disse non
nà compiuto di dire". Unde dice
Salamone che
ch quelli che risponde innançi ch’egli oda si mostra
essere stolto et d’essere degnio di confusione. Et simigliantemente
quelli
que
che
parli inançi ch’egli appari affretasi d’essere tenuto ad vile et d’essere
sch
ernito.
[
f.
]
Onde disse Gesù Sirac: "Innançi che tu giudichi guarda a
la giusti
cçia, et
innançi che tu parli inpara". Déi addunque richiedere 'l tempo et ordine in tutte
le cose et in tutto `l parlar tuo, sì che quel che tu déi dire innançi, che tu 'l
dichi innançi et non diposcia, et quel che dé' dire diposcia, dichil diposcia et
non innançi, et quel di meço in meço, perciò che se tu dé innançi dire la storia,
cioè quel che s'intende per la storia, et puoi la troppo longha (sic).
->
Et se tu volessi parlare per pistola, cioè per alcuna lettera che
tu mandassi, in prima
dia
ponere la saluta
cçione, et poi l’esordio, cioè alcuna
similitudine, et poi la narra
cçione, cioè quel tu manderai a dire, et poi
la piti
cione, cioè si tu voli addomandare alcuna cosa, et
poi la conclu
cçione,
cioè imponere fine al detto tuo. Et se tu vollessi parlare in parlamento overo in a
m
basciate, in prima, secondo `l tempo
et secondo
`l luogo, de' dire la saluta
cçione, et poi de' lodare coloro ad cui tu
porti l’anbasciata, et poi lodare li compagni tu
i
oj
, poi de’ dire et narrare quel che t’è posto in anbasciata, poi de'
pregare che l’ambasciata tua sia menata ad compimento, et poi il dire il modo
secondo `l qu
e
l
è
quel che tu addomandi si
'l può fare, et de'
ponere
exempli
ne le cose simigliante, et poi assignare sufficiente ragione ad tutte
queste cose.
->
Et questo farai a ssimigliança dell’angelo Gabriel, quando egli fu
mandato da Dio a la beata vergine Maria, el quale in prima puose la saluta
cçione quando egli
disse: "Ave, Maria", cioè benedetta sè tu Maria; et possia la lodò et disse:
"Gra
cçia plena",
cioè piena d’ogne gra
cçia; "Domenedio è con teco et benedetto `l
frutto del ventre tuo"; et la confortò et disse: "Non temer Maria ché trovato ài
gra
cçia appo Dio".
Et vede che puose innançi conforta
cçione che narra
cçione, perciò che la beata virgine Maria ne
l’advenimento et nel salutare dell’angelo ebbe come paura. Et qua
ndo
puose l’anun
cçia
cçione et disse: "Tu diventerai gravida et
averai figliuolo". Et quin
d
o puos
e
l
a
sspressione dello modo: "Lo Spirito Santo verrà in te et la virtù de
l’Altissimo dimorrà in te". Et sexto puose l’exemplo et disse: "Et li
sabbet (sic), tua cogniata, ebbe figliuolo in sua vecchieçça"; et settimo
assengniò sufficiente causa et ragione et ad tutte queste cose et disse: "Per
c
iò che nonn-è appo Dio inpossevile ogne parola". Et se tu vorrai trattare
di legge o di decretali,
etin prim' apporrai la lettera
et poi il caso, et poscia la sposi
cçione de la lettera, et poi li exempli et le cocordanç
e
, et poscia le contrarietà, et poi le solu
cçione; et così di ciascheduna scien
cçia secondo che si
conviene.
->
Et questi pochi exempli ti bastino a saper
e questa parola quando. Et tu medesimo, et co’ lo `ngiengnio et con
savere che Dio t’à prestato,
tisfor
cça
te di trovare et
d’agiungniere supra ciascuna parola di questa
o verso,
che, secondo che sopra l’abecedario tutte le scien
cçie si volgono, così supra questo verso si
può refrenire (sic) et conpensare ciò che si dice et chi si fa. Bastiti
dunque questa dottrina sopra 'l parlare et sopra 'l tacere, la quala è compresa in
questo verso et a tte et ai frati tui che sono letterati, perciò che la vita de'
letterati è più in nel dire chel nel fare. Unde disse Seneca: "All’uomo letterato
non si conviene aveir molte facende et operare molte forçe". Et se tu vuoli aver
dottrina et amaiestramento del fare come tu ài amico (sic) del parlare, trai
verso questa parola dire et in suo luogo pone questa parola fare, et così: "Chi tu
sè et che cosa et a ccui tu vuo' fare, perchè et come et quando déi
addomandare".
->
Et così tutte ciò che io t’ò detto potrai acconciare a questo
verso, et molto più. Et perciò ti prego che tu ne le parole che io t’ò dette, ti
debbi exercitare et affatigare et studiare sopr’esse; perciò che lo studio aiuta
lo `ngieno et vince spesse fiata la natura, et l’uso valica ogni comandamento di
maiestro, et così serai ardito maiestro di parlare et di tacere et di fare. Et
prega Dio che m’à donato gracia di poterti dir queste paroule, che ne conduca
all’allegreçe de la vita eterna.Amen.
->
Qui è compiuto lo primo libro de la dottrina del parlare et del
taciere, fatto da Albertano giudice et avogado di leggio de la cata (sic) di
Brescia de la contrada di Sant'Agatha, translatato et volgariçato da Andrea da
Grosseto ne la cità di Parigi